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Anno edizione: 2016
Anno edizione: 2016
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Non riuscivo a portare a termine la lettura di questo romanzo, l’ho trascinato per tutta l’estate. La protagonista inizia a vedere con gli occhi del suo astore, è affascinata e spaventata da questa fusione ”(…) sufficiente a bloccare cose come il passato e il futuro, e a far sì che a contare ancora fossero i trenta secondi successivi”. Il lato interessante della trama assente finisce qui, il resto è una caccia a fagiani e lepri descritta male. Lo stile è poco fluido, il ritmo si inceppa continuamente, per di più è inframmezzato da richiami a un’altro libro ugualmente noioso. Tutto ciò convive con alcune splendide descrizioni di volo del rapace. Il libro me l’ha consigliato un’amica che lo stava leggendo in versione originale, le era stato regalato da un’amica che ne era entusiasta. Mi sono incuriosita e abbiamo verificato nella versione inglese alcuni dei brani più incomprensibili. La traduzione ha estirpato la profondità di campo, eventi che si verificano simultaneamente (in primo piano/sullo sfondo) risultano appiattiti. Ecco perché la prosa non è affatto evocativa. “Staring out” tradotto con “visto guardare” è penalizzante, l’aspetto interessante di questo romanzo consiste proprio nel mettere a fuoco l’immedesimazione in mondi paralleli, altri da noi: il punto di vista quindi riveste un ruolo fondamentale. E poi a parte le trascuratezze lessicali, la traduzione ha massacrato lo stile e il ritmo delle frasi.
Sono molto legata a questo libro. Letto la prima volta alla fine di un periodo di lutto, ho saputo immedesimarmi nella scrittrice protagonista, nel suo immergersi completamente in qualcosa pur di evitare di vedere il vuoto che il lutto aveva lasciato nella sua anima. La seconda lettura è stata invece più serena, ho apprezzzato di più la scrittura intensa e incantatrice, sono di rara bellezza i passaggi in cui Helen descrive di aver capito che per superare il lutto non doveva allontanarsi dall’umanita e isolarsi con il suo astore. Mi domando cos’altro potrei scoprire con una terza lettura. Un libro da non perdere.
Ho iniziato Io e Mabel con una certa titubanza. Mi aspettavo un libro a tratti molto tecnico, per addetti ai lavori, se vogliamo dirla così. Invece mi sono ritrovata tra le mani una bellissima sorpresa! Libro intenso, drammatico e dolce. Affrontare una perdita, gettarsi a capo fitto in un hobby per non dover guardare il vuoto direttamente. Scoprire nel percorso di addestramento molte sfaccettature sconosciute di T.H. White e, attraverso l'astore, ritrovare sé stessa. Vibrante. Lo consiglio a chiunque.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Chiunque sia stato colpito da una perdita deve in qualche modo perire, prima di risorgere. Il tempo del lutto può durare mesi o decenni, e assumere le forme più diverse. Ma non si può risalire prima di aver toccato il fondo. Ancora più vari sono i modi per risorgere, tutti però allungano le loro radici nelle profondità affettive dell’inconscio. Helen Macdonald ha raccontato il suo in Io e Mabel.
Helen è una scrittrice e naturalista inglese, che dal 2004 al 2007 è stata docente e ricercatrice presso il dipartimento di storia e filosofia della scienza di Cambridge. Verso la fine di quel periodo morì d’infarto suo padre. Helen ha una passione per i falchi. Fin da bambina è un’appassionata divoratrice di libri sulla nobile arte della falconeria. Crescendo diventa una falconiera esperta. La falconeria non è solo la materia che studia e insegna a Cambridge, è il suo lavoro, la sua vita. Risorgerà, dunque, addestrando al volo e alla caccia un esemplare di astore femmina: Mabel. (…)L’anomalia non sta nella decisione di voltare le spalle ai rapporti umani e rifugiarsi nella natura selvaggia, nella dimensione che Jack London, nei suoi racconti sul Grande Nord, chiama il “wild”.
Anche se non abbiamo tutti a disposizione le distese selvagge del Canada o dell’Alaska, non c’è cosa più comune che rifugiarsi nella solitudine e nella natura in un periodo di lutto. Helen però non se ne va a camminare nei boschi. Si isola e vive per mesi a contatto con un essere non umano: un essere selvaggio completamente dominato dal bisogno di uccidere. Helen ama la sua astore e a poco a poco s’identifica completamente con Mabel, guarda il mondo con i suoi occhi, rinuncia alla propria umanità. Quando viene la rinascita? Quando Helen comincia a percepire, con il corpo prima che con la mente, che la sua attività è parte della malattia, non della cura. Un giorno Mabel, ferocemente affamata, confonde Helen, nascosta fra i cespugli, con la sua preda e la colpisce con violenza in piena fronte. Con il viso coperto di sangue, Helen si riscuote. “Tornai a casa, mi sedetti sul divano e scrissi il discorso in memoria di mio padre”. Quel discorso che non riusciva a scrivere da mesi le esce “di getto nel giro di venti minuti, con un piccolo cerotto rotondo appiccicato in fronte”. Alla commemorazione Helen racconta un episodio molto bello dall’infanzia di suo padre e ritrova l’abbraccio delle tante persone che l’hanno amato. Durante il viaggio di ritorno, finalmente, ha “il cuore che canta”. Però è anche “furibonda con se stessa”: come ha potuto dimenticare che “le mani umane sono fatte per tenere altre mani”?
Recensione di Andrea Casalegno
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