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Davide D'Alto
ROBERT ALTMAN
Dal teatro al cinema
pp. 271, euro 14,98,
Falsopiano, Alessandria 2001
Robert Altman è indubbiamente da annoverare tra i maggiori cineasti americani del dopoguerra. Spiace però dover constatare che la sua fortuna critica abbia seguito in questi anni un andamento altalenante e che il regista non possa quindi godere con continuità del riconoscimento dovuto a un grande maestro. I suoi film, che spaziano attraverso i più diversi generi cinematografici, dal film di guerra alla commedia di costume, dal western al poliziesco, per citarne solo alcuni, hanno tutti come comune denominatore un discorso demistificatorio, fortemente critico nei confronti della società americana, un discorso che scava nel profondo, all'insegna di una cultura della non superficialità.
Il volume di Davide D'Alto prende in considerazione il cinema di Altman attraverso un approccio interpretativo basato sulla molteplicità dei metodi di analisi, nell'ottica di una revisione storico-critica dell'opera del regista, in particolare di alcuni suoi film prevalentemente degli anni ottanta, parzialmente incompresi dalla critica e dal grande pubblico. Il titolo del saggio, Robert Altman. Dal teatro al cinema , restringe e circoscrive il campo a quelle opere che non solo sono tratte da opere teatrali (come Follia d'amore del 1985, tratta dall'omonima commedia di Sam Shepard o Terapia di gruppo del 1987, dal testo di Christopher Durang), ma che anche fanno parte, secondo la critica, di un tipo di cinema vecchio e teatrale, il classico cinema "da camera", antispettacolare e pretenziosamente "culturale". Questo libro si propone tra i suoi obiettivi di confutare quest'opinione diffusa e di dimostrare da un lato l'estraneità di pellicole quali ad esempio Streamers del 1984 o Jimmy Dean, Jimmy Dean del 1982 da tale classificazione, e dall'altro di parlare di una "teatralità" (ben lontana dalle rigide convenzioni del cinema "da camera" e del teatro classico tradizionale) altmaniana latente che attraversa tutta la sua filmografia e che è inscindibile dalla concezione psicodrammatica del set, ove gli attori hanno la responsabilità di determinare la vita del film. La spontaneità, l'improvvisazione, l'irruzione del privato degli attori sulla scena sono parte integrante di tale teatralità e concorrono, ci dice Davide d'Alto a "dare vita ad un metodo registico (e drammaturgico) veramente innovativo, senza epigoni, in un emblematico isolamento".
I sei capitoli in cui si divide questo volume quanto mai articolato ed esauriente sono dunque tutti dedicati all'analisi di film tratti da opere teatrali, tranne il sesto che analizza la pellicola Images del 1972 e che ha qui ragion d'essere in quanto, precisa l'autore, è in quest'opera che "si fissano quegli 'universali' psicodrammatici destinati ad essere le costanti di tutte le pellicole successive. Images è il punto di partenza dell'attraversamento psicodrammatico dei generi operato da Altman".
Conclude il saggio un'esaustiva filmografia che comprende oltre ai lungometraggi, ai cortometraggi e ai soggetti, anche le regie televisive e teatrali, a dimostrazione e conferma di come questo grande maestro è stato ed è molto attivo anche nel campo del teatro e della televisione.
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