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La rivoluzione è finita, abbiamo vinto. Storia della rivista «A/traverso» - Luca Chiurchiù - copertina
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La rivoluzione è finita, abbiamo vinto. Storia della rivista «A/traverso» - Luca Chiurchiù - copertina

Descrizione


«Perché rileggere "A/traverso" oggi, a quarant'anni esatti dal Settantasette? "Leggere A/traverso è impossibile. Non credo che ci sia qualcuno così pazzo da farlo, né qualcuno che ci riesca". Così Franco Berardi (Bifo), filosofo e fondatore della rivista, ha risposto divertito alla mia domanda la prima volta che ci siamo incontrati. Non saprei trovare parole migliori per presentare la storia di una rivista che per sua stessa natura sfugge a qualsiasi rilettura o interpretazione postuma. Sfugge non soltanto perché i suoi editoriali sono incompleti e pieni di errori, o perché alcuni suoi numeri sono ormai quasi irrintracciabili, ma soprattutto perché non rispetta e anzi rovescia le dinamiche codificate della comunicazione. Le rompe, disarticolando e frammentando il testo, che si presenta fin da subito spurio, deviante, ingovernabile e sempre "al di là". La rivista nacque nel 1975, dall'eredità della controcultura e dell'operaismo degli anni Sessanta, ma nel contempo si presentò come il simbolo di uno scarto nel mondo antagonista della sinistra extraparlamentare di allora. Una frattura sghemba, obliqua e anche ambigua, proprio come quella barra che spaccava il titolo a metà e che si insinuava nel mezzo delle cose. Proprio in virtù del loro posizionamento «trasversale» e «trasversalista», i fondatori della rivista sono stati tra i pochi a immaginare lo scenario che si sarebbe profilato oltre quella stagione di lotte e di conquiste, a presentire il pericolo della mutazione che avrebbe preso il sopravvento con la fine della rivolta. Forse anche per questo motivo «A/traverso» può essere considerata una chiave di lettura privilegiata dei fatti del Settantasette. Oltre a essere stata una delle testate principali di quel movimento, oltre ad aver avuto sede a Bologna - luogo di uno dei più drammatici avvenimenti di quel fatidico anno - nei suoi articoli già si avvertiva la parabola di quelle speranze, tutti i rischi che esse covavano, i presagi del "tempo del dopo"».
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Dettagli

2017
2 marzo 2017
204 p., Brossura
9788865481783

Voce della critica

A/traverso , quando il cielo cade all’inferno

“Scrivere questo libro ha significato soprattutto rimettere insieme i pezzi di un oggetto rotto, riassemblare i frammenti di un’unità ormai perduta”. Così si conclude l’acuto volume di Luca Chiurchiù, La rivoluzione è finita abbiamo vinto. E così inizia la sua ricerca, concepita come tesi di laurea dell’autore e successivamente rivista. L’“oggetto rotto” in questione, l’“unità ormai perduta”, è la rivista A/traverso, di cui Chiurchiù ricostruisce storia e sostanza. Una storia legata, innanzitutto, al movimento del doppio Sette, anno concretamente simbolico assurto a paradigma di un ventennio di lotta di classe. Una storia legata in modo niente affatto secondario a una città, Bologna, in cui il Settantasette ha avuto caratteri al contempo specifici e generali; una città che di quell’anno riassume almeno in parte potenza, possibilità e nodi irrisolti.

L’autore si concentra sui numeri della rivista che vanno dal 1975 al 1979, anno marchiato da un altro 7, di segno opposto – quello di aprile, firmato da Calogero e dal PCI. Ne usciranno altri due numeri, nell’80 e nell’81, che a quel punto del futuro non cercheranno più l’anticipazione, si limiteranno a testimoniarne l’esaurimento. Con una scrittura chiara e penetrante Chiurchiù centra la sua analisi sul tentativo fatto da A/traverso di “mettere in moto la rivoluzione dal linguaggio”, mischiando Mao con Dada, Artaud con Majakovskij. Tentativo che va inquadrato nel contesto dei movimenti e dei conflitti di quei due straordinari decenni, di cui l’autore fornisce introduttivamente una ricostruzione sintetica e accurata, per quanto a tratti un po’ scolastica. Nel libro si prova anche a tratteggiare le figure, gli ambienti, gli umori sociali in cui presero vita l’esperienza di questo “piccolo gruppo in moltiplicazione” e quella, genealogicamente e politicamente gemella, di Radio Alice.

A/traverso si colloca all’interno di una miriade di riviste grandi e piccole, la cui importanza è sottolineata dal volume. Nel ’76 il sottotitolo cambia: non più “giornale dell’autonomia”, ma “giornale per l’autonomia”. Proprio perché l’autonomia è fondata sulla materialità delle pratiche di conflitto e rifiuto, la stessa distinzione tra autonomia creativa e autonomia organizzata andrebbe posta in un rapporto di tensione più che fissata rigidamente in una secca contrapposizione. Il dibattito politico, anche aspro, è semmai su come quel rifiuto si ricompone in forza d’attacco, come l’estraneità al lavoro e alla politica istituzionale si ribalta in potenza autonoma. Ma la base materiale della creatività e dell’organizzazione è affatto comune. Tant’è che A/traverso si scaglierà programmaticamente contro i professionisti della creatività, le figure dell’avanguardia artistica e dell’intellettuale, la prima riassorbita dentro il movimento reale, la seconda messa al lavoro e proletarizzata. Tenterà di essere “avanguardia celibe” e intellettuale collettivo, di “leggere nella merda” – come recita un editoriale del ’76 –, perché solo lì si può afferrare la maledetta materialità dei bisogni, dei comportamenti e delle pratiche, la radice concreta del linguaggio, di ciò che viene rimosso, del profumo dell’essere. Quanto avrebbe da insegnare quella lezione ai grigi intellettuali che oggi hanno l’ardire di definirsi “militanti”, con la loro puzza sotto il naso, con la loro schifata spocchia per la sporcizia dei comportamenti sociali.

A questo punto, immerso e affascinato dalla radicalità di questo esperimento (quello di A/traverso, in quanto prodotto specifico di quella potenza autonoma), Chiurchiù si pone correttamente un problema: si può studiare una rivista avanguardistica che voleva porsi oltre qualsiasi forma di esegesi, perfino distruggerne la possibilità? Consapevoli dell’azione di volontaria chiusura nei confronti del potere e dei suoi servitori, si può ricostruire un archivio di chi rifiutava la forma-archivio, rimettere insieme i pezzi di una rivista il cui supporto cartaceo sembra quasi essere stato scelto appositamente per dissolversi rapidamente? La risposta è sì, ci dice l’autore, a patto che si faccia i conti con la contraddizione. Aggiungiamo: è una contraddizione che è nelle cose, non solo nelle parole che descrivono le cose. Il capitale è una formidabile macchina di produzione, di organizzazione e di cattura: il museo arriva in ritardo rispetto alla dirompenza delle avanguardie, e tuttavia se non lo si distrugge per tempo arriva. La sovversione dei linguaggi di Radio Alice e di A/traverso le ritroviamo nei decenni successivi dentro l’industria della comunicazione neoliberale: con segno opposto, senza più sovversione. Il desiderio e la prassi molecolare, a partire dagli anni Ottanta, sono divenuti merci con cui riempire gli scaffali dei supermercati tangibili e virtuali. Cosa è cambiato nel frattempo? I rapporti di forza: la risposta è semplice, e qua non c’è “post” che tenga.

Nel gennaio del ’78 A/traverso prova a rilanciare in avanti: la rivoluzione è finita abbiamo vinto, ma noi facciamone un’altra. Invece, incapaci di trasformare la sovversione in rottura, la rivoluzione l’hanno rifatta i nostri nemici chiamandola innovazione. Il cielo è caduto sulla terra, e il capitale è riuscito ad appropriarsene trasformandolo in un inferno. È andata così, certo. Eppure, non doveva necessariamente andare così. Soprattutto, non sta scritto da nessuna parte che debba continuare così. Dipende da noi.

Per favore non prendiamo il potere, ripete A/traverso; però il potere continua a prendere noi. “Guai a chi smette. Guai a chi continua”: se c’è chiarezza nell’individuare cosa non funziona più, la difficoltà è individuare cosa può funzionare. Quarant’anni dopo o giù di lì, siamo ancora e in modo nuovo attorcigliati in questi nodi. Senza rottura, non si esce dal cielo infernale. Non concediamo alcuno spazio alla disperazione, non concediamo alcuno spazio all’euforia. La traversata del deserto continua. Ma, come ci spiegava Huey P. Newton, il deserto non è un circolo, è una spirale. Quando siamo passati attraverso il deserto, niente sarà più come prima.

Gigi Roggero. Recensione completa su Alafbeta2.it

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