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Le cose belle del libro? I dialoghi, sempre divertenti, con botta e risposta e sarcasmo alla W. Matthau; e la rappresentazione dei meccanismi di una sceneggiatura: opera collettiva, sempre in fieri, che mescola elementi narrativi, visivi, commerciali e qui pure morali e politici. Indimenticabili certi personaggi e scene: l'approccio alle armi da fuoco, ossessione americana, e letteralmente la "cacazza" che ne consegue, col racconto-indovinello del protagonista di come sia riuscito a evitare una seconda figura stavolta metaforicamente di m., quella con l'armaiolo; le prime scene in Israele cogli israeliani, dalla parlata e dai comportamenti da Terzo mondo (o da italiani; ma credo che per gli americani tutti gli altri siano 3° mondo); le conversazioni col rabbino lisergico, il personaggio originale, assurdo eppure saggio, quelle coll'agente, narcisista e trasformista... E' un mondo senza più punti di riferimento, politici, religiosi o anche solo morali, anzi un mondo fuori di testa, in cui molti adulti sono bambini egoisti e tutti sono inquieti, alla ricerca di qualcosa che nemmeno sanno. Così è pure il protagonista, un uomo senza (quasi) qualità, un W. Allen dei primi film, ma ricco, apparentemente "arrivato"; uno che vorrebbe essere un buon marito, un buon padre, almeno un buono sceneggiatore, ma non ci riesce. E allora parte alla ricerca della sua identità, in modi molto americani e poi molto ebraici, e intanto prova almeno a finire la sceneggiatura d'un film anti-politico, anti-multinazionali, anti-Bush. Ridicoli ma pure angoscianti saranno i suoi fallimenti, notomizzati da un narratore spietato. Alla fine le conclusioni non possono essere che provvisorie, recupero di cocci di vita personale. E qui forse si prova un po' d'insoddisfazione? Ma questa è la letteratura del 3° millennio, quella che fotografa la ns società e i ns valori (..."valori"? Ah sì, quelle cose... Sì sì ho presente, ne ho sentito parlare, una volta, no sulle prime avevo pensato ai soldi...).
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