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Il pozzo - Regina Ezera - copertina
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pozzo

Descrizione


Considerato uno dei capolavori della letteratura baltica, Il pozzo è un romanzo d'amore e di desiderio, un racconto di rara finezza psicologica e struggente tensione, con una scrittura che ha tutta la forza seduttiva del classico.

«In fin dei conti, non è tutta la vita un'unica lotta per ottenere qualcosa, e l'impossibilità di conservarlo?»

Nella quiete incantata di un lago della campagna baltica, durante un'estate dei primi anni Settanta, Rūdolfs, medico di Riga, assapora la sua vacanza solitaria. Costretto a chiedere in prestito una barca in un antico casale, vi trova una donna esile, scalza, in camicetta e pantaloni consunti, lo sguardo sfuggente e impenetrabile che a tratti tradisce una segreta inquietudine, i modi ritrosi che senza volerlo emanano una grazia ammaliante. È Laura, che lì vive con i suoi due bambini insieme alla suocera Alvīne e alla cognata Vija, in un gineceo percorso da tensioni sotterranee e tenere complicità nell'ingombrante assenza di Ričs, in carcere per un omicidio accidentale. Ričs il figlio ribelle di Alvīne, erede di una tragica saga famigliare che ha attraversato il passato nazista e il presente sovietico della Lettonia. Ričs il marito che Laura, nella distanza, ha scoperto di non amare, ma che attraverso la distanza la incatena al ruolo soffocante di moglie devota. Nel succedersi dei giorni e degli incontri apparentemente innocui intorno al lago, fra Rūdolfs e Laura nasce un'intesa di sguardi e di anime sempre più fremente, un bruciante desiderio di vicinanza che si nutre di silenzi carichi di attesa, piccoli gesti che parlano, mani che si sfiorano e per un attimo credono di potersi afferrare. Con una prosa vivida e raffinatissima, capace di rendere l'incanto di un istante e il potere evocativo di un dettaglio, «Il pozzo» racconta un mondo circondato dall'acqua e avvolto dai lunghi crepuscoli dell'estate nordica, una realtà fluida e sfumata come lo sono i rapporti umani e i paesaggi interiori in cui ci immerge, tra gli effetti più sottili della solitudine e del desiderio.

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Dettagli

2019
23 ottobre 2019
352 p., Brossura
9788870916102

Valutazioni e recensioni

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Mary
Recensioni: 5/5

Un bel romanzo, dal tono intimo e delicato, che racconta la storia di un amore impossibile con una bella descrizione dei paesaggi e dei personaggi

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consuelo
Recensioni: 5/5

Tra le rive del lago e le campagne sonnolente si svolge la narrazione de “il pozzo”, una storia d’amore e di desiderio struggente e inespresso. Rūdolfs, medico di Riga, è in vacanza per rilassarsi, mentre Laura vive in una fattoria nelle vicinanze. Tra i due, inaspettatamente, nasce un’intesa fatta di sguardi e sorrisi timidi. Laura è una donna esile, silenziosa e schiva. Ella è madre di due figli e la gestione della proprietà è in mano sua poiché il marito è in prigione con l’accusa di omicidio; pertanto, da capofamiglia è investita di responsabilità e oneri. Rūdolfs invece è divorziato e lontano dal figlioletto di tredici anni; entrambi i protagonisti sono imprigionati nei loro ruoli, il medico è schiavo della sua libertà e della sua solitudine, mentre la donna è condizionata dal suo ruolo primario in famiglia e dell’importanza che riveste davanti alla suocera Alvīne. Tra le mura di casa Tomarini si respirano i silenzi, le assenze e i rancori derivati da un passato burrascoso e torbido. Con una prosa delicata ed evocativa, la scrittrice ci fa assaporare e rivivere delle atmosfere sospese e artefatte, dove il tempo scorre lento e sfumato, dove il lago, con i suoi sussurri e rumori, è onnipresente. Pubblicato nel 1972, il romanzo narra di un amore impossibile e irrealizzabile. Con una postfazione utilissima, si scopre che il libro è frutto di una delusione amorosa dell’autrice, ella infatti si era dichiarata ad un suo collega, ma questo le rispedì indietro le sue lettere e il suo sentimento. Ringrazio la casa editrice iper per aver tradotto e portato in Italia un libro sconosciuto eppure estremamente prezioso e sublime.

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Voce della critica

Quando Regina Šamreto scelse come proprio pseudonimo Ezera (che significa lago), sapeva di aver «sempre desiderato abitare nelle vicinanze di un bosco e dove c’è dell’acqua». L’acqua è l’elemento che avvolge ogni cosa nel suo romanzo Il pozzo (352 pagine, 18 euro), edito da Iperborea, diventato un classico della letteratura lettone, l’acqua che «con la sua fluidità rende fluidi e sfumati i contorni, le gradazioni della luce, i rapporti fra le persone e ciò che accade dentro di loro», come scrive la traduttrice, Margherita Carbonaro, nella postfazione. Lungo le rive di un lago, la cui «distesa d’acqua sembrava sconfinata», trascorre le vacanze estive, Rudolfs, un medico proveniente da Riga. Con l’intenzione di chiedere in prestito una piccola imbarcazione, l’uomo giunge a Casa Tomarini, un’antica dimora affacciata sulle sponde della Biscia, così viene soprannominato il lago, rifacendosi alla «mitologia e tradizione popolare baltica in cui la biscia è un animale sacro, intermediario fra i mondo dei vivi e dei morti», spiega Carbonaro.

Anche se Casa Tomarini sembra abbandonata, qui vi trova Laura, una giovane donna dall’aspetto “grigio”: “la camicetta sbiadita, i pantaloni di tela consunti con i bottoni automatici, i piedi nudi impolverati. Solo i capelli, piuttosto lunghi e legati sulla nuca con un elastico nero, mandavano una viva luce rossastra che contrastava con tutto il resto”. Rudolfs scoprirà che Casa Tomarini custodisce un pozzo «sul fondo un piccolo cerchio grigio luccicava come una moneta, e un alito fresco e umido gli salì incontro. Pozzi così profondi rispondono alla voce umana con un’eco nera». La casa che si affaccia sul lago e che si specchia nella città che sta esattamente dall’altra parte, è abitata da tre donne, Laura, Alvine sua suocera e Vija la cognata e dai due bambini di Laura. Tre donne molto diverse da loro, Alvine è una donna d’altri tempi, rimasta vedova, che ricopre quasi il ruolo di custode del tempo, ora privata anche del suo unico figlio, al quale sente di “aver fatto solo del bene”, incarcerato a causa dell’omicidio di un uomo, avvenuto accidentalmente durante una battuta di caccia e di cui è stato ritenuto colpevole. Uscito nel 1972, Il pozzo, è diventato un classico della letteratura lettone, nello stesso anno viene conferito, all’autrice, il premio statale della Repubblica socialista di Lettonia e nel 1976 girano un film dal titolo Ezera sonate, La sonata del lago, ispirato al romanzo che diventa esso stesso un classico della cinematografia lettone.

C’è la luce che proviene da una finestra di Casa Tomarini, che spesso la sera resta accesa, è la stanza di Laura, quella che Rudolfs, dalla piccola imbarcazione sul lago, osserva come se fosse lo sguardo della donna a entrare nel suo. Tutto intorno si diffonde una fitta nebbia «compagna quasi immancabile delle notti di fine estate» che lentamente stende «un pallido velo davanti alla riva” e come avviene la sera si sente il rumore delle anatre selvatiche che chiacchierano nel canneto». Laura si perde a osservare il lago, muta e silenziosa lascia i pensieri vagare nel tempo. Si interroga Laura su ciò che ne è stato della sua vita, chiusa in quella casa, imbrigliata nelle faccende domestiche sotto lo sguardo algido e insofferente della suocera, si interroga sui sentimenti che prova per suo marito Rics, ora che non è lì con loro.

Ai caldi raggi del sole che fanno capolino durante le giornate a Casa Tomarini, si oppongono sferzanti piogge e i rumori che diventano i suoni ritmici di questo romanzo. Tuttavia l’isolamento di Laura, l’incertezza dei tempi, la precarietà dei sentimenti faranno sì che Laura e Rudolfs si avvicinino più di quanto avrebbero immaginato. È la storia di un amore impossibile, così ha definito il suo romanzo Regina Ezera, la donna che disse di non essere mai «riuscita ad afferrare la cosa essenziale che trasforma in arte il materiale della vita», definita la grande dame della prosa lettone da Nora Ikstena. Il forte affetto che si innesca tra i figli di Laura, soprattutto il piccolo Maris, e Rudolfs, creerà occasioni di incontro per la coppia e innescherà una complicità fra i due adulti che sfocerà in sguardi e nel veloce sfioramento delle dita, che finiranno per infiammare l’aria del lago. Regina Ezera, quando scrive Il pozzo aveva una quarantina d’anni, due divorzi alle spalle e un incendio che distrusse l’abitazione acquistata in campagna, quella di vicino al bosco e al fiume Daugava, i suoi manoscritti e l’opera che stava scrivendo, la fece ricostruire perchè non avrebbe saputo dove vivere se non in quel luogo. Scriverà gran parte della sua produzione letteraria in epoca sovietica, tesserata nelle fila del partito comunista, finirà i suoi giorni in povertà e «tormentata dal bisogno dell’alcol». La sua scrittura, fluida e raffinata inseguirà i sentimenti umani, indagherà ciò che nascondiamo dentro noi stessi, le delusioni e l’impossibilità di cambiare il proprio destino. Il pozzo custodisce nelle sue acque limpide quel sogno invaso dalla nostalgia, interrotto nel momento che separa il giorno dalla notte.

Recensione di Paola Zoppi

 

 

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Due anni fa abbiamo iniziato a esplorare il territorio della letteratura lettone con Il latte della madre di Nora Ikstena (Voland) e abbiamo chiacchierato con la traduttrice Margherita Carbonaro dei suoi progetti futuri per diffondere le opere letterarie di questo Paese in Italia: è in questa occasione che abbiamo sentito parlare per la prima volta di Regina Ezera, voce autorevole della letteratura baltica, e de Il pozzo, il suo capolavoro, ora nelle librerie italiane per Iperborea.

La prima edizione del romanzo è del 1972: ci troviamo in una Lettonia saldamente legata all’URSS e destinata a restare sotto il regime sovietico fino alla sua dissoluzione nel 1991. La vicenda è ambientata nella campagna baltica, nei dintorni di un lago chiamato affettuosamente la Biscia da chi vi abita intorno. Siamo quindi apparentemente lontani dalla grande Storia e dai suoi movimenti, la narrazione si concentra sull’acqua e su altre profondità.

Il lago stesso è infatti il motore dell’incontro tra il medico di Riga Rudolfs, che passa le vacanze in campagna per sfuggire alla sua famiglia o forse a sé stesso, e gli abitanti di casa Tomarini: l’anziana Alvine, sua figlia Vija e sua nuora Laura con i due figli piccoli. Le tre donne e i bambini vivono nell’ombra ingombrante di Rics, figlio di Alvine e marito di Laura, in carcere per un omicidio accidentale.

Rudolfs chiede in prestito a Laura la loro barca per andare a pesca, Laura gliela concede: inizia così un’amicizia tra il medico e la comunità matriarcale di Tomarini che si nutre di non detti, colori, suoni e sensazioni e che prelude a un’attrazione impossibile tra l’uomo e la schiva e silenziosa Laura.

Il cosa succede potrebbe essere riassunto tutto qui: una manciata di incontri fugaci tra un uomo abituato a prendersi dalla vita tutto ciò che desidera e una donna a cui la vita, invece, ha tolto tutto ciò che poteva. Sono entrambi prigionieri, l’uno di una libertà illimitata e priva di affetti, l’altra di doveri e responsabilità a cui non può neanche immaginare di sottrarsi, e il sentimento che comincia a legarli è destinato a rimanere inespresso seppur deliziosamente reciproco.

La straordinarietà de Il pozzo sta nel modo in cui il racconto di qualche ordinaria giornata di fine agosto nella vita di un gruppetto di persone riesce a trasmettere la misura delle loro intere esistenze e del passato che si portano in spalla, nel modo cioè in cui la quotidianità si fa carico di un messaggio universale.

Nel romanzo di Regina Ezera ogni dettaglio è rivelatore: il modo in cui viene preparata la marmellata di mele, il colore dell’acqua del lago, le voci attutite dalla distanza. La normalità è descritta con una squisitezza di particolari – menzione d’onore per le scene che hanno per protagonisti i bambini – che le conferisce una dignità eroica e contribuisce a creare un’atmosfera sospesa, magica e avvolgente in cui il lettore non può evitare di venir risucchiato.

«Vide infine che i due vecchi secchi che usavano per la mungitura erano vuoti, li appese al bilanciere e andò al pozzo. In lontananza il cielo ardeva ancora, ma già si erano accese le prime pallide stelle. La catena scorreva e strideva, quasi uggiolando. Laura girò meccanicamente la manovella finché la catena arrivò alla fine e allora si rese conto che il secchio era sul fondo del pozzo già da un po’ e doveva aver smosso i sedimenti: l’acqua non sarebbe stata limpida.» [p. 275]

In un presente statico, sempre uguale e senza vie di fuga, emerge con prepotenza lo spettro del passato. Man mano che la tragica storia che grava sulla famiglia cui Laura si è legata sposando Rics viene svelata, il presente appare sempre più come uno spazio stagnante, rassicurante ma chiuso in sé stesso, proprio come un lago, mentre la vita vera si è svolta nella generazione precedente.

Il disperato tentativo di due esseri umani di salvarsi a vicenda dalla solitudine fa infatti da sfondo a una grandiosa storia di amore e odio, padri e figli, colpe ed espiazioni, i cui dettagli vengono rivelati in maniera quasi casuale, come relitti senza importanza di un’epoca conclusa. La generazione di Alvine, nata quando ancora la terra aveva padroni e testimone della dominazione nazista, ha ormai finito la sua parte gioie e dolori terreni e non le resta che prendersi cura dell’orto, rammendare le calze e sbucciare le mele.

Prima de Il pozzo, Regina Ezera aveva scritto delle opere che avevano avuto un moderato successo ma, come ci racconta Margherita Carbonaro nella postfazione, lei non si riteneva superiore alla massa grigia di scrittori della sua epoca. Il suo capolavoro nacque in seguito al rifiuto dell’amico e collega scrittore Gunars Priede, che, dopo aver letto un fascio di venticinque lettere in cui l’autrice gli comunicava i suoi sentimenti, rispose: Non scriviamoci lettere, ma ciascuno scriva le sue opere letterarie. Lei sublimò il suo dolore, lo trasformò in arte, compose un’opera universale e divenne la grande dame della letteratura lettone: ora possiamo finalmente conoscerla meglio.
 

Recensione di Loreta Minutilli

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Regina Ezera

1930

Regina Ezera (1930-2002) è considerata una delle voci più importanti della letteratura baltica, autrice di una ventina di opere che si distinguono per la singolare finezza psicologica. Nata a Riga in una famiglia di origini in parte polacche e bielorusse e cresciuta in un mondo che è sempre stato un intreccio di lingue e culture, nel 1965 si trasferisce a Brieži, in campagna, nei pressi del fiume Daugava, «vicino a un bosco e all’acqua», dove ha sempre voluto vivere e dove rimarrà fino alla morte. Nel 1972 arriva la sua consacrazione di scrittrice con Il pozzo, che nello stesso anno ottiene il Premio Statale della Repubblica Sovietica di Lettonia e nel 1976 viene tradotto in un film di successo, La sonata del lago, rimanendo il suo romanzo più...

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