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(...) Il lettore si trova davanti ad un libro scritto con la proverbiale passione calma che dovrebbe appartenere ad ogni studioso. La prosa procede sicura nella ricostruzione storica come nell’evocazione del dibattito culturale, nello scavo nelle biografie degli autori e negli affondi nei romanzi (Robinson, Moll Flanders, Pamela, Clarissa, Joseph Andrews, Shamela, Tom Jones eccetera) per poi accendersi, senza perdere di lucidità, nella proposta di nuovi paradigmi verso una possibile teoria del realismo.
Idea centrale è l’importanza del dibattito?pubblico nella nascita del moderno romanzo borghese. Senza la presenza dell’opinione pubblica, sostiene Capoferro, il novel non avrebbe trovato terreno su cui attecchire (...).
La cultura del romanzo ha immediatamente interiorizzato l’assunto “che gli eventi privati debbano essere considerati in funzione della loro possibile incidenza collettiva”, e che la spersonalizzazione delle vicende intime consente alle storie di uomini mediocri di essere oggetto dell’attenzione di tutti e di essere utili allo studio e alla riflessione sull’uomo.
Nelle dense pagine del saggio, il lettore compartecipa nella complessa società londinese del Settecento, guarda i tumultuosi eventi che vanno dalla Gloriosa Rivoluzione alla stabilizzazione portata dagli Hannover attraverso lo sguardo dello “Spectator” di Addison e Steele, si immerge nei complessi dispositivi ideologici dei romanzi di Defoe, Richardson e Fielding, minuziosamente analizzati, intravede le instabili presenze di Swift e Sterne e alla fine di questo percorso serio e densissimo si trova davanti a un ultimo capitolo che dal titolo intuisce essere l’inizio di una nuova, futura, navigazione: Per una teoria del realismo.
Qui Capoferro non si limita a riprendere le fila del discorso, ma allarga il quadro fino alle temperie del presente: ripercorre l’enciclopedia della narrazione degli ultimi tre secoli e tratteggia una mitografia del realismo. (...).
Lo statuto del reale è una delle ossessioni di questo libro. Se per tutto il volume Capoferro non ha mai smesso di sottolineare l’importanza della cultura empirica nella formazione del novel, qui l’autore torna a riflettere sulla questione morale e soprattutto sull’inesauribile bisogno della forma romanzo di mettere in discussione le certezze acquisite, di portare alla luce i dimenticati, i dispersi: coloro che preferiamo escludere dal campo visivo. “Attraverso il potere della parola scritta” dice il Conrad di The Nigger of the “Narcissus” (1897), è possibile “destare nei cuori di chi osserva quel sentimento di inevitabile solidarietà, di solidarietà nell’origine misteriosa, nelle fatiche, nella gioia, nella speranza, nel fato incerto, che tesse legami fra gli uomini, e tra l’umanità e il mondo visibile”. (...).
Recensione di Marco Viscardi
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