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Il nostro mondo morto - Liliana Colanzi - copertina
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Il nostro mondo morto - Liliana Colanzi - copertina

Descrizione


Un gruppo di bambini affascinati dall'improvvisa morte di un amico, una donna che lascia tutto per una missione colonizzatrice su Marte, un giovane posseduto dall'impulso assassino dell'indio che ha ucciso con una pietra, un ragazzo speciale in grado di parlare con esseri dello spazio, sono alcuni dei personaggi che abitano gli otto racconti di questa raccolta che segna l'irruzione nel panorama letterario latinoamericano di una voce nuova e potente. "Il nostro mondo morto" racconta il momento in cui il quotidiano cede il posto al sogno, al delirio, alla scoperta dell'inconscio; la razionalità della vita moderna si fonde così con la superstizione, collocando il lettore sulla soglia di mondi diversi, tra realtà e immaginazione, e alimentando una letteratura dove la fantasia si diluisce in tensione e mistero.
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Dettagli

2017
20 aprile 2017
125 p., Brossura
9788895492452

Voce della critica

Le sfumature sinistre della quotidianità secondo Colanzi

Liliana Colanzi, di origini abruzzesi, ridisegna, almeno in Italia, la geografia letteraria boliviana. Se Jaime Saenz è il “monumento” del secolo scorso, Edmundo Paz Soldán il contemporaneo più conosciuto (a ragione), Manfredo Kempff Suárez l’autore sottovalutato dalle grandi sigle editoriali italiane, Rodrigo Hasbùn il talento più puro e dal futuro garantito, Liliana Colanzi, classe 1981, irrompe con alcuni racconti che focalizzano l’attenzione su tutto ciò che di inquietante e soprannaturale può immaginarsi nella realtà.

Le edizioni Gran Via continuano un lavoro di ricerca che ha come stella polare la qualità. Liliana Colanzi (che è moglie di Edmundo Paz Soldán e insieme a lui vive e lavora negli Stati Uniti) è solo uno degli ultimi esempi virtuosi di un catalogo che cresce, aggiungendo ogni volta un tassello importante. Il nostro mondo morto (128 pagine, 13,50 euro) è una raccolta di otto racconti, tradotti da Olga Alessandro Barbato, che sceglie, felicemente di lasciare in lingua originale alcuni vocaboli. Sono storie brevi, quelle di Colanzi, che tengono conto della grande tradizione latinoamericana (Arguedas, Asturias, lo stesso Saenz, un pizzico di Bolaño), e non solo, ma la aggiornano e in qualche modo la superano, e non solo per uno sguardo più cosmopolita: tensioni e ossessioni si avviluppano attorno a trame irreali tutto sommato esili, ma potentissime, con più di un personaggio memorabile, tra deliri incomprensibili e sogni.

Una lieve tensione e una leggera angoscia introducono questi racconti dedicati al marito, colmi di allegorie, che intrecciano generi e indagano paure primitive dell’uomo e le sfumature sinistre della quotidianità. Nel racconto eponimo una donna, dopo una ferita d’amore non del tutto ricucita («Tommy scrisse per raccontarmi che stava uscendo con una e che avrebbe avuto un figlio»), partecipa a una missione su Marte e prova a dimenticare, allacciando anche un’altra relazione. In Chaco lo spirito di un indio assassinato si impadronisce del corpo del suo omicida e lo tormenta. Ne L’occhio la presenza costante di una madre ossessiona una figlia, perseguitandola fino a un cinema dove consuma la sua prima esperienza sessuale. In Alfredito il più piccolo compagno di classe muore, ma riappare in sogno e promette di tornare (e in effetti, forse, nella sua piccola bara continua a respirare…). Storie così, otto in tutto. Levigate, intense, suggestive, con un pathos difficilmente rintracciabile in molti libri, almeno dei coetanei di Liliana Colanzi, che in futuro si confronterà con la forma romanzo ed è molto attesa, almeno dall’altra parte dell’oceano: inevitabile perché questa scrittrice ha padronanza dei mezzi narrativi, abilità tecnica e un registro linguistico vasto, in cui convergono poesia, tradizione e orale e modernissime istanze della letteratura. Una vera scoperta.

Recensione di Arturo Bollino

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