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Com'è cambiata nel tempo la nostra emigrazione? Quanto somiglia alle grandi migrazioni che investono oggi il nostro paese? Come si trasforma la cultura di chi emigra e come cambia il suo rapporto con la terra d'origine? E ancora: che cosa succede alle identità etniche e ai ruoli sessuali di coloro che approdano ai nuovi luoghi di residenza? E quali sono i contenuti umani psicologici, emotivi e culturali che stanno dietro e dentro le cifre che, senza dire nulla della carne e del sangue, dei pensieri e degli affetti, si limitano a misurare gli spostamenti umani nella società contemporanea? E infine: qual è il rapporto che lega i tratti culturali delle identità "viaggianti" con i contesti economici e le dinamiche del potere?
A queste e ad altre domande di grande attualità risponde l'ultimo libro di Amalia Signorelli, nel quale l'antropologa raccoglie molti dei suoi scritti sull'argomento che coprono un ventennio assai significativo (1986-2001) proprio per le variazioni e le persistenze dei flussi migratori che partivano (e partono) dall'Italia o che, venendo da altri paesi, giungono sul nostro territorio. Si tratta di scritti notevoli che erano dispersi in diverse pubblicazioni e che ora è possibile trovare riuniti. Ed è questo il primo merito si potrebbe dire "strutturale" del libro. Il secondo è quello di venire a riempire autorevolmente e in modo esauriente uno spazio che, rispetto all'entità del problema, è stato poco frequentato dagli antropologi italiani, specialmente con ricerche di ampio respiro. La produzione dell'autrice rappresenta dunque un'eccezione: visto che al tema si dedica da molto tempo, pur senza trascurare altri settori rilevanti della disciplina (dall'antropologia urbana alla condizione femminile al clientelismo meridionale).
Gli altri numerosi meriti del libro sono quelli legati ai contenuti e, soprattutto, alla ricchezza teorica e al taglio interpretativo con il quale viene affrontato e scandagliato il fenomeno. E poi alla qualità della prosa con la quale Signorelli ci conduce pianamente a esplorare una materia complessa, che viene considerata a tutto campo: nelle sue sfaccettature culturali, ma anche nelle cause politico-economiche che la generano e nei rapporti di dominio e subalternità che a essa sono intrecciati. E questo oggi come nel passato.
Nel primo capitolo quasi un'introduzione densa, problematica e autoriflessiva , l'autrice rivisita le sue stesse ricerche, ne compie un bilancio, indica le linee di rinnovamento dei paradigmi conoscitivi e dialoga criticamente con le più recenti correnti antropologiche, oltre che confrontarsi con gli studi provenienti da altri settori scientifici e con le ricerche internazionali. Inoltre vi mette in luce le questioni teoriche implicate nelle pratiche etnografiche e nelle analisi antropologiche del fenomeno e illustra le categorie con le quali lo ha interpretato. Prime tra tutte le nozioni tratte dall'opera di Ernesto De Martino (del quale è stata allieva): "crisi della presenza" e "incontro etnografico".
La crisi della presenza minaccia chi, mentre incontra l'altro da sé si fa a sua volta altroper lui: uno schema "classico" dell'avvicinamento tra culture che però, nel caso particolare dell'emigrazione, acquista nuovi valori e nuovi sensi. L'incontro etnografico (anche nel titolo del volume) consente invece di mettere a fuoco i tratti di quello spaesamento e di quel riappaesamento che sono vissuti da coloro che si muovono dal noto verso l'ignoto, dal "proprio" all'alieno e, se si vuole, dal locale al globale. Questi concetti vengono applicati senza fossilizzarli nell'omaggio al "maestro" né forzarne la portata esplicativa e conoscitiva: articolati in modo originale e creativo, vengono calati nel vivo della ricerca e dell'interpretazione, come vere e proprie chiavi per dischiudere alla specificità della penetrazione antropologica i significati dei processi migratori (incontri,sia pure di tipo speciale) e per considerare la complessità umana e culturale nella quale si esprimono. È inoltre rivendicata con forza quella che l'autrice chiama "ambizione luciferina" dell'antropologia: che fin dalle sue origini si è posta come la disciplina che ha cercato di dar voce e rappresentazione all'alterità (e anche qui si rivela centrale il concetto demartiniano di "etnocentrismo critico", che non pare superato dall'antropologia interpretativa o dal postmodernismo, ma che è ancora vitale e fruttuoso e, semmai, ne ha precorso alcune problematiche).
Il libro, muovendosi tra esperienze di campo e riflessioni teoriche, racconta anche molte altre cose. Sul piano dei risultati della ricerca, parla delle ibridazioni delle identità etniche in un mondo globale e della necessità di rinnovare gli strumenti per indagarle; oppure delle difficoltà legate ai ritorni, spesso non meno laceranti delle partenze; o ancora, del rapporto tra il progetto che fa parte del bagaglio dell'emigrante e i risultati effettivamente raggiunti nelle nuove terre. Dal punto di vista metodologico, esamina il problematico rapporto tra oralità e scrittura oppure la superficialità e la carenza di indagini che si celano dietro il termine "multiculturale", che sembra indicare soltanto gli esiti a casa nostra dei processi di spostamento dall'altrove, senza considerare che è proprio la cultura dei migranti a non essere "compatta" e unitaria, ma come del resto tutte le culture plurima, stratificata, gerarchica, multipla. Su tutto sta, esplicito o soggiacente, il problema dell'impegno anche politico, oltre che scientifico del ricercatore che si misura con i temi cruciali della vita sociale contemporanea: un impegno rivendicato e praticato con passione dall'autrice.
Le migrazioni sono diventate oggi molto "visibili" (anche per i caratteri somatici dei nuovi migranti). Sembrano anche aver innescato nuove forme di razzismo, come se gli italiani, prima, ne fossero esenti: quando invece, come ricorda Signorelli, è al razzismo antimeridionale, generato dalle grandi migrazioni interne di mezzo secolo fa, che va ricondotta l'ideologia razzista e xenofoba di nuove formazioni politiche come le Leghe. E anche su questi caratteri nuovi Signorelli offre riflessioni illuminanti. Inoltre, tutto il suo lavoro non rappresenta soltanto un contributo importante agli studi etnoantropologici, ma permette di misurare i mutamenti intervenuti nei nostri movimenti migratori e di avvicinare il presente con la consapevolezza del passato recente che abbiamo alle spalle e che sembra essere stato rimosso dalla memoria collettiva. Conoscere il passato (e un passato nel quale a spostarci per le vie del mondo eravamo noi), serve non soltanto a capire il presente, ma a immaginare il futuro: un esercizio fondamentale, specialmente per le giovani generazioni che complici i mezzi di comunicazione di massa sembrano impigliate nella rete di un eterno presente. Perché, se è vero che l'emigrazione è cambiata, è anche vero che in essa ci sono aspetti e significati costanti: gli stessi segni antichi marcano oggi il destino dei nuovi emigrati come un tempo hanno inciso su quello dei nostri nonni e dei nostri bisnonni.
Questo libro, dunque, non interessa soltanto gli specialisti: riguarda da vicino tutti coloro che riflettono sugli scenari della società contemporanea. Forse, dovrebbe essere letto nelle scuole. La problematizzazione delle categorie, lo sguardo approfondito sui fenomeni, il rigore della ricerca antropologica, la nitidezza cristallina della scrittura, i moltissimi riferimenti bibliografici ne fanno uno strumento indispensabile per la comprensione di un fenomeno che fa parte della nostra storia e che ora, con fisionomie diverse, sta sulla scena della nostra vita contemporanea e più ancora sull'orizzonte del futuro del mondo. Sandra Puccini
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