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Ma cos'è questa giustizia? Luci e ombre di un'istituzione contestata - Mario Garavelli - copertina
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Descrizione


Una panoramica sullo stato attuale della giustizia italiana, destinata, oltre che agli addetti ai lavori, alle persone senza particolari competenze giuridiche. Perché la giustizia è perennemente in crisi? Chi sono i responsabili? Come funziona l'apparato giudiziario? Che dire dei tanti luoghi comuni che influenzano negativamente l'opinione pubblica? L'autore, magistrato con esperienze in diversi uffici giudiziari, indica tra le principali cause della crisi l'indifferenza della collettività rispetto alle regole e l'insofferenza di ampi settori della classe politica nei confronti dei controlli di legalità che discendono dal principio della separazione dei poteri: è la "lotta contro il diritto".
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Dettagli

2003
15 settembre 2003
132 p., Brossura
9788835954248

Voce della critica

Mario Garavelli è molto conosciuto come magistrato. Conosciuto e apprezzato. Per il lavoro svolto in diversi uffici giudiziari (Pretura, Ufficio istruzione, Corte di cassazione) e per le capacità organizzative dimostrate come presidente del Tribunale di Torino e poi della Corte d'appello di Genova. Da poco tempo in pensione (per raggiunti limiti di età, come usa dire), Mario Garavelli ha deciso di consegnare a un agile e interessante libro una sorta di bilancio della sua vita professionale, riflettendo - a partire dalle sue davvero molteplici esperienze - intorno al cosiddetto pianeta giustizia. Un pianeta di cui tanto, tantissimo si parla, e che tuttavia rimane ancora sostanzialmente inesplorato.

Di qui l'idea del libro. Scritto "per portare chiarezza ed elementi di conoscenza", ma anche "per lo scoramento nel vedere così misconosciuto e male interpretato un lavoro talora malfatto ma sempre difficile e degno quanto meno di approfondimenti", e perché "sono poche (e comunque non sono mai abbastanza) le voci critiche e autocritiche con cui, dall'interno, senza acrimonia ma senza falsi pudori, si espongono le pecche del sistema e soprattutto degli uomini". Ecco allora una panoramica essenziale, ma al tempo stesso esauriente, sullo stato attuale della giustizia italiana. Un'opera di alta divulgazione (dove l'accento va posto sull'aggettivo: alta), vale a dire scritta non solo per gli addetti ai lavori, ma anche per le persone senza particolari competenze giuridiche, che vi troveranno una guida precisa e sicura per orientarsi fra i meccanismi, le caratteristiche peculiari e i profili organizzativi del sistema giustizia.

Garavelli non è mai tenero, a volte anzi la sua analisi può sembrare persino spietata. Amarezza, disincanto, sconforto e frustrazione si rincorrono e si intrecciano. Ma è la stessa materia trattata, purtroppo, che raramente offre motivi di soddisfazione e appagamento. E ciò per ciascuno dei capitoli coi quali Garavelli ha organizzato la sua esposizione. Essa inizia con la sapida descrizione di quella "abnorme bulimia legislativa" che ha finito per creare, nel nostro paese, un "corpaccione del giuridico" che "perde sempre più l'anima, riducendosi a mero contenitore di norme disparatissime e contingenti, la cui efficacia è condizionata da puri rapporti di potere che ne indirizzano l'applicazione e l'interpretazione", con il corollario che oggi "i rapporti di forza non riguardano nemmeno più conflitti di classe ma singoli interessi". Segue l'analisi di pregi e difetti (ma sono questi ultimi che finiscono per stagliarsi con più evidenza) della magistratura, degli avvocati e del personale amministrativo.

I magistrati sono raggruppati secondo i "tipi d'autore maggiormente presenti o maggiormente rappresentativi", ed è sufficiente ricordare l'elenco che ne risulta ("i martiri; i mariuoli; gli psicolabili; i parsimoniosi, vulgo lavativi; gli ottimati e l'onesta medietà dei più") per rendersi subito conto della spregiudicatezza ma anche dell'assoluta onestà intellettuale di Garavelli, certamente immune dai condizionamenti che può comportare il virus corporativo (anche se l'orgoglio dell'appartenenza al corpo giudiziario è una costante del libro e in definitiva la ragione vera che spinge a mettere a nudo con crudezza i difetti riscontrabili). Degli avvocati si premette che sono un pilastro della giustizia, ma si ricorda anche che sono diventati un esercito - e una lobby - di circa 150.000 persone (i soli avvocati di Roma sono in numero maggiore di quelli dell'intera Francia...), con tutte le crepe nel pilastro che questo dato numerico enorme ineluttabilmente finisce per causare. Del personale amministrativo si parla, nel libro di Garavelli, anche per sottolineare come esso costituisca una potentissima leva nella mani del ministero per far marciare o meno - a discrezione del potere esecutivo - gli uffici giudiziari, o per farne marciare alcuni meno bene rispetto ad altri, avendo come scenario di fondo - da sempre - una politica di gestione del personale "lontana da ogni razionalità".

Segue un capitolo sulla "(dis)organizzazione giudiziaria", che introduce la trattazione dei principali problemi e dei mali ricollegabili al processo civile e al processo penale. Densa e amaramente divertente è poi la parte del libro intitolata Le (false) idee correnti, ovvero l'immaginifico giudiziario, dove si parla di pentiti, giustizialisti, garantisti, toghe rosse, golpe giudiziario e affini. Chiude il prezioso volume l'analitica esposizione di una serie di proposte di riforma (di profilo eminentemente pratico), a volte persino "banali", nel senso che da anni si è tutti d'accordo sull'opportunità se non sulla necessità di adottarle, ma poi non se ne fai mai nulla: per cui insistere - come fa Garavelli - è doveroso, ma al tempo stesso sintomatico della vischiosità che da sempre inceppa il dibattito e la soluzione dei problemi della giustizia, posto che diagnosi e indicazione delle possibili terapie son facili, mentre fanno di solito difetto l'effettiva volontà di intervenire e la concreta operatività.

Di straordinario interesse - nel libro - sono poi le pagine che rievocano alcune vicende giudiziarie di grande rilievo che Garavelli ha professionalmente vissuto in presa diretta. Per due anni egli ha lavorato nella sezione della Corte di cassazione presieduta dal "famoso dott. Carnevale, altrimenti noto come l''ammazzasentenze' a causa dei continui annullamenti delle decisioni dei giudici inferiori deliberate appunto dalla sua sezione". "In nome di un asserito garantismo" che in realtà era "ricerca di ogni possibile cavillo formale", o di "piccole se non inesistenti ragioni di procedura", per scoprire vizi "che altri giudici della stessa Corte avevano ritenuto non costituire motivo di nullità". Con una "quantità di imputati spesso di alta pericolosità ritornati liberi grazie a queste insperate regalie". Una vera "sofferenza", per Garavelli, che lo spinse a chiedere il trasferimento ad altra sezione. Mentre al dott. Carnevale i difensori indirizzavano "lodi sperticate", definendo la sua sezione come "il più forte baluardo della civiltà giuridica, la teca che custodiva le più pure tradizioni italiche (...) e altre sparate di questo genere". Sparate che non si esauriscono nel perimetro di questo o quel fascicolo processuale, perché costituiscono la rampa di lancio dei cosiddetti "processi paralleli". Quei processi - stigmatizza Garavelli - che si instaurano "senza conoscere le carte di quelli veri, senza avere assistito ai dibattimenti, senza contestare puntualmente le sentenze che essi biasimano, e quindi sentenziando a loro volta, spesso senza neppure esibire uno straccio di prova". Spesso con l'organizzazione di vere e proprie "campagne benemerite per gli interessati" che "godono di amicizie influenti".

Considerazioni, queste di Garavelli, di speciale attualità dopo la recente sentenza con la quale il senatore Andreotti è stato assolto definitivamente dall'accusa di concorso in omicidio per la quale era stato condannato in appello a Perugia, essendosi appunto scatenata la "solita" campagna che - prendendo Perugia a pretesto - punta a presentare le sentenze emesse a Palermo nei processi contro il senatore Andreotti (sulle quali Garavelli fornisce importanti spunti di riflessione) come esempio di un "colpevole utilizzo della giustizia a fini politici". Mentre dovrebbe essere a tutti noto che la sentenza emessa dalla Corte d'appello di Palermo nel processo svoltosi a carico di Andreotti (sentenza sulla quale dovrà definitivamente pronunciarsi la Corte di cassazione) ha dichiarato estinto per prescrizione il reato di associazione per delinquere ritenuto provato fino alla primavera del 1980, rilevando testualmente (fra l'altro) che "l'imputato ha, non senza personale tornaconto, consapevolmente e deliberatamente coltivato una stabile relazione con il sodalizio criminale ed arrecato, comunque, allo stesso un contributo rafforzativo manifestando la sua disponibilità a favorire i mafiosi". Per il resto, la decisione della Corte d'appello ha confermato la sentenza di primo grado, la quale (come dovrebbe essere - anche in questo caso - noto a tutti) ha utilizzato lo schema tipico dell'insufficienza di prove, confermando nel contempo vari punti significativi e qualificanti dell'impianto accusatorio. Del quale, pertanto, tutto si può dire, ma non che fosse ispirato da politicizzazione della funzione giudiziaria o fosse basato su teoremi invece che su fatti specifici e concreti, da accertare e portare in giudizio.

In sostanza, anche la cronaca di questi ultimi giorni conferma che Mario Garavelli coglie nel segno - qui come in tanti altri punti del suo libro - quando denunzia quel "malcostume", tipico del nostro paese, che "riguarda non solo i pubblici ministeri ma anche i giudici, vilipesi e osannati a seconda delle convenienze dei critici". Con gli osanna in genere riservati alle assoluzioni, che però "possono essere errori giudiziari allo stesso modo delle condanne".

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