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Luce rubata al giorno - Emanuele Altissimo - copertina
Luce rubata al giorno - Emanuele Altissimo - 2
Luce rubata al giorno - Emanuele Altissimo - 3
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Luce rubata al giorno

Descrizione


Primo classificato Premio letterario Edoardo Kihlgren opera prima – città di Milano
Candidato al Premio Strega 2019

Alla sua prima prova, Emanuele Altissimo scrive un romanzo scabro eppure carico di emozione, e mette in scena personaggi in lentissima caduta libera, come fiocchi di neve.

«Buio e luce questi i titoli che fungono da prologo ed epilogo nel romanzo d'esordio di Emanuele Altissimo. Dove "buio" sta per un telefono che squilla di notte per dirti del ritrovamento lontano d'una persona che comunque vuol continuare a scomparire; e "luce" per un ritrovarsi, anche se lì non fisicamente, sulla terrazza del 35° piano di un grattacielo» - La Lettura

Questa è la storia di due fratelli e dell’estate che segna per sempre le loro esistenze. Diego, Olmo e il nonno sono in montagna, nella baita comprata dai genitori prima di morire. La speranza è che quei luoghi portino serenità nell’animo di Diego, il fratello maggiore, eternamente irrequieto. Ma appena si alza il vento le seggiovie tremano e le nubi proiettano sui valloni ombre profonde. Solo Olmo capisce che Diego sta scivolando in un universo dove non si può raggiungerlo, un delirio che sembra crescere fino a toccare il cielo. E darebbe tutto ciò che ha per salvarlo. In ingegneria si parla di tensione ammissibile: il punto massimo di sforzo a cui si può sottoporre un edificio prima che collassi. L’Empire State Building, per esempio, sopravvisse all’urto di un Bomber B-25. Giorno dopo giorno, Olmo costruisce proprio il modellino dell’Empire State: con infinita pazienza, consapevole che la forza dell’edificio sta nella posa di ogni singolo mattoncino. Ma qual è la tensione ammissibile per una famiglia, per l’amore che tiene insieme le persone? “I miei personaggi li ho immaginati come dei giganti” ha scritto l’autore. “Diego è un gigante incapace di farsi bastare il suo mondo, che sogna di scalare le montagne e prendersi il cielo. Ma soprattutto lo sono Olmo e il nonno. Giganti sono coloro che guardano in faccia il dolore senza più scuse. Che accettano dolori per i quali non c’è consolazione.” Alla sua prima prova, Emanuele Altissimo scrive un romanzo scabro eppure carico di emozione, e mette in scena personaggi in lentissima caduta libera, come fiocchi di neve. Il vento, le radure, il profilo fiero di un daino, l’aria sottile delle vette: tutto in queste pagine è vasto e misterioso come l’animo umano, capace di salvare una scheggia di luce anche nella notte più buia.
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Dettagli

2019
9 gennaio 2019
240 p., Brossura
9788845298257

Valutazioni e recensioni

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Filippo
Recensioni: 4/5

Mi ha ricordato Stephen King, l'ambientazione è pazzesca, per tutto il tempo mi sembrava di stare in una pineta d'estate. E poi la paura, questo fratello grande che non sai mai cosa stia per fare. Notevoli i dialoghi, forse è il primo romanzo di un esordiente con una qualità così alta nel riprodurre il parlato. Peccato che non sia entrato nella dozzina dello Strega, avrebbe avuto la visibilità che meritava. Mi sono tenuto la quinta stella perché non è un libro perfetto, ci sono momenti in cui la tensione cede. Comunque grande prova.

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Enrica
Recensioni: 5/5

"Un moderno e sofferente Rosso Malpelo." Così qualcuno ha definito Diego, il personaggio più bello e più spaventoso di questo romanzo. Io trovo incredibile che in duecento pagine uno scrittore riesca a fare così tanto: c'è tensione, c'è l'amore che ti strappa via, una speranza all'inizio sussurrata, poi sempre più forte. I personaggi sono indimenticabili, ci penso ancora a distanza di mesi. Consigliatissimo.

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Vittorio
Recensioni: 5/5

Questo romanzo è una granata: la storia si rivela per sottrazione, non ci sono sbrodoloni, lo stile dà vita a una detonazione emotiva che mi ha sconvolto. Pochi romanzi hanno trattato la malattia mentale con questa originalità. Si sente che l'autore ha scavato dentro se stesso, che questa storia arriva da un abisso personale. Ma non c'è autocommiserazione né sentimentalismo. Ci vuole coraggio a scrivere una cosa del genere.

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Voce della critica

IL RIFUGIO DELL'IRCOCERVO - letterature, mondi e animali mitologici

A chi scrive capita di provare l’odio letterario: una forma frustrante e genuina di ammirazione. È quello che ho provato leggendo per la prima volta Altissimo. Si trattava, nello specifico, di due racconti recuperati dal web: il primo parlava di un bambino che non sa leggere l’orologio, nel secondo c’erano dei serpenti in una lavatrice. Erano racconti brevissimi, in cui poco o niente veniva detto – seguivano con eleganza la filosofia della scrittura-iceberg: una piccola punta visibile, il resto sotto la superficie – e proprio per questo funzionavano da dio. Se la scrittura fosse una partita a scacchi, diciamo, Altissimo sarebbe uno che vince in tre mosse secche.

Dopo aver letto quei racconti ho provato l’odio di cui sopra. Mi sono messo le mani tra i capelli, ho dato un’occhiata alle cose che avevo scritto fino ad allora e mi sono vergognato. I miei racconti, in confronto a quelli di Altissimo, sembravano creature goffe, inutilmente elaborate, un passo indietro nella scala evolutiva. I suoi: cavalli da corsa; i miei: antichi quadrupedi con le gambe tozze. Inutile dire che ho iniziato a detestare questo ragazzo, e che quando mi è arrivata la notizia che avrebbe pubblicato un romanzo con Bompiani mi sono segnato la data d’uscita, convinto che quella sarebbe stata la resa dei conti. Il romanzo è uno sport diverso dal racconto, mi dicevo, sono come la maratona e i cento metri. Sarebbe riuscito Altissimo a pareggiare le mie aspettative? Dovevo leggerlo. A distanza di un paio di mesi, ho mantenuto la promessa.

Ed ecco cosa ho trovato.
Luce rubata al giorno racconta di due fratelli, Olmo e Diego, e del nonno Aime. In estate i tre si trasferiscono alla vecchia baita in montagna, è lì che si svolge la maggior parte della storia. C’è il carattere irrequieto di Diego, che si allena ogni giorno per entrare nell’Accademia militare. C’è l’ombra della mamma e del papà, morti in circostanze che non vengono esplicitate, e c’è l’odio nero e potente di Diego per il padre. C’è la pazzia di Diego quando, più avanti, non riesce a gestire certi fatti della sua vita; e l’occhio bambino di Olmo che guarda e racconta tutto.

La struttura si basa sul gioco di tensione tra due poli: il romanzo inizia quando quella vacanza è passata, torna indietro per recuperarne il racconto e si chiude ancora nel futuro per spingerlo più avanti. La parte centrale, la permanenza alla baita, è di gran lunga la più noiosa. Accadono, lì dentro, una miriade di piccoli eventi che non sono funzionali al progredire della storia, ma solo a dipingere con calma la vita dei personaggi (ci sono almeno quattro scene di colazioni) e del microcosmo che li circonda. La cosa curiosa è che quella parte occupa quasi duecento pagine, in un esubero di dettagli che da un ingegnere di iceberg come Altissimo non mi sarei mai aspettato.

Ragionando, ho capito che si trattava di un gioco intenzionale. Una serie di ripetizioni che ricorda una partita di tennis. Immaginatevela. Battuta iniziale, poi una serie indefinita di scambi ognuno perfettamente uguale al precedente, e infine la schiacciata che vale il punto. Quanto dura il tutto? Due, tre minuti? La maggior parte di questi gli spettatori li passano a guardare un gioco sempre uguale, in cui sembra non accada niente di nuovo, solo il viaggiare avanti e indietro di una palla. Ma quelli rimangono incollati lo stesso alla sedia: la tensione iniziale, l’aspettativa prodotta dal primo colpo di racchetta, è talmente forte da lanciare un ponte di energia che va dritto al finale, poco conta che nel mezzo ci sia un quarto d’ora di palleggi a vuoto.

È una tecnica bastarda, in narrativa: quando è gestita alla perfezione permette di allungare il brodo senza che il lettore si accorga della noia. Una tecnica furba, ma che non è dettata necessariamente dalla furbizia. La cosa eccezionale è che lì, nella lunga parte del mezzo, possono trovare collocazione fatti, episodi, gesti insignificanti che approfondiscono notevolmente i personaggi, o che addirittura ritraggono la lentezza, la casualità, il vuoto della vita vera. È una delle grandi ambizioni della letteratura: riprodurre la vita vera; e con questa tecnica si può farlo senza che il lettore lanci dalla finestra il libro dopo le prime sette pagine.

Va chiarito che non è l’unica tecnica con cui si possono scrivere delle storie. Proprio Altissimo, in quanto autore di racconti perfetti, viene da una mondo in cui la regola non è la ripetizione, ma il suo opposto. Pensate a George Saunders, il grande scrittore americano. Saunders non ha mai pubblicato un romanzo prima di Lincoln nel Bardo, perché ha, dice lui, la fissa per l’essenzialità. Concepisce e lavora i suoi scritti in modo che non abbiano neanche una frase di troppo. Mantenendo la metafora tennistica, è come se Saunders giocasse la carta del serve and volley, la tecnica che consiste nel servire la prima battuta all’avversario e correre subito sotto rete per fare punto. Non c’è nessuno scambio, nessuna ripetizione. Solo battuta, risposta, punto, tutto con implacabile velocità e potenza selvaggia. Va da sé che questo implica una certa avversità alla lunghezza: la forma del racconto, quindi, diventa quella ideale.

Ed è proprio per l’indole da raccontista di Altissimo che, secondo me, Luce rubata al giorno non è del tutto efficace. Non è il campo adeguato per lui. Ci sono un paio di immagini bellissime, da narratore di razza: come il modellino dell’Empire State Building (usato in modo meravigliosamente tematico), o il fatto che Diego metta il profumo della madre come dopobarba. Ma in tutto quello sforzo di raggiungere la dimensione del romanzo, queste perle si perdono. Diventano piccole, trascurabili. Sarebbe eccezionale se, come prossimo lavoro, Altissimo avesse il coraggio di pubblicare una raccolta di racconti. Ancora meglio, sarebbe eccezionale se avesse il talento di scrivere un romanzo in serve and volley, se capite cosa voglio dire. Magari è proprio quello che sta facendo. Nel dubbio, io continuo a volergli male.

Pierpaolo Moscatello

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Conosci l'autore

Emanuele Altissimo

 Emanuele Altissimo è nato nel 1987 a Torino, dovesi è laureato con una tesi su David Foster Wallacee ha frequentato il biennio di scrittura creativadella Scuola Holden. Ha lavorato pressol’Autorità nazionale di regolazione dei trasportie oggi insegna in un liceo. Nel 2019 ha esorditocon il romanzo Luce rubata al giorno, vincitoredel premio Kihlgren.

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