Chiudi

Aggiungi l'articolo in

Chiudi
Aggiunto

L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri

Chiudi

Crea nuova lista

Dati e Statistiche
Wishlist Salvato in 7 liste dei desideri
Forme del testo. Linguistica, semiologia, psicoanalisi
Disponibile in 10 giorni lavorativi
37,05 €
-5% 39,00 €
37,05 € 39,00 € -5%
Disp. in 10 gg
Chiudi
Altri venditori
Prezzo e spese di spedizione
ibs
37,05 € Spedizione gratuita
disponibile in 10 giorni lavorativi disponibile in 10 giorni lavorativi
Info
Nuovo
Altri venditori
Prezzo e spese di spedizione
ibs
37,05 € Spedizione gratuita
disponibile in 10 giorni lavorativi disponibile in 10 giorni lavorativi
Info
Nuovo
Altri venditori
Prezzo e spese di spedizione
Chiudi

Tutti i formati ed edizioni

Chiudi

Dettagli

2004
1 gennaio 2004
VIII-308 p., Brossura
9788832340754

Voce della critica

Nel 1989, in un capitolo dei Segni dell'incanto. Prospettive psicoanalitiche sui linguaggi creativi (Il Mulino), riprendevo vari studi di Silvano Arieti (Manuale di Psichiatria, 1959; Il Sé intrapsichico, 1969; Interpretazione della schizofrenia, 1974; Creatività. La sintesi magica, 1976) per dimostrare come nei processi primari di pensiero esistesse una formazione di classi logiche i cui individui potevano liberamente scambiarsi. E applicavo questa paleologica alla psicosi, al pensiero selvaggio, al mondo del bambino e al pensiero poetante. A dire il vero, Arieti si poggiava sulla "legge di von Domarus" (1944) che suona così: "Mentre nel pensiero maturo (o processo secondario) l'identità viene accettata in base all'identità dei soggetti, nel pensiero paleologico (o processo primario) l'identità viene accettata sulla base dell'identità dei predicati". Possiamo dire che a livello paleologico si formano delle classi speciali, che chiameremo classi primarie, perché esse appartengono tipicamente a ciò che Freud chiamava il processo primario. Una "classe primaria" è una raccolta di oggetti che hanno in comune un predicato e che in virtù di questa parte comune si identificano o divengono equivalenti, reciproci e reversibili. Mentre i membri di una classe secondaria appaiono simili, i membri di una classe primaria vengono scambiati liberamente.

Fa piacere che oggi (il lavoro è del 1994) Agosti, nel suo splendido nuovo libro, acceda a questa teoria con l'aiuto di Saussure, Jakobson e Matte Blanco: Linguistica e psicoanalisi del poetico. Mentre nel discorso corrente il paradigma è virtuale e, a mano a mano che il discorso procede, si attua il sintagma, nel discorso poetico il paradigma è in atto fin dentro il sintagma. Non basta. Gli oggetti messi in relazione sono reversibili secondo la paleologica A è B, B è A. Gli oggetti della classe sono liberamente scambiabili, direbbe Arieti, come se Baudelaire potesse dire "Le temple est une nature" invece di "La nature est un temple". Il che potranno fare Mallarmé, Valéry e Proust.

Un altro saggio di ampio respiro è Petrarca e la modernità letteraria: una genealogia, in cui, sulla scorta di un bizzarro postulato di Lacan secondo cui fra soggetto e oggetto s'interporrebbe un manque, questo manque è scaturigine del linguaggio poetico quale s'incide nelle metafore "à un seul terme", nella struttura poli-isotopica degli enunciati, nel gioco fra un significante e l'altro, eludendo il riferimento al significato.

Per il primo punto, si guarderà all'incipit del sonetto 198 del Canzoniere petrarchesco: "L'aura soave al sole spiega et vibra / l'auro ch'Amor di sua man fila e tesse", dove Amore tesse l'oro in forma di rete destinata ad avvolgere il soggetto, nonché accecarlo per l'eccessiva vicinanza, tanto da provocare in esso un fenomeno di diplopia, la cui sintomatologia è esattamente descritta nel testo. Non solo, ma la rete d'oro sarà anche il metaforizzante che gli darà il proprio sguardo, la propria "luce", la quale è appunto sdoppiata ("da tai due luci" significa le luci sovrapposte dagli occhi e dai "nodi" della chioma trasformata in rete d'oro). Tale è la "luce" che il metaforizzante della rete d'oro tessuta da Amore invia al soggetto, accecandolo, oltre che per la vicinanza, anche per la violenza della sua stessa metamorfosi.

Per il secondo punto, si noterà che la pluralità dei percorsi semantici all'interno di uno stesso enunciato si produce nel Canzoniere a partire da determinate matrici lessicali polivalenti, da vocaboli-senhal riferiti a Laura, quali l'aura, l'auro, il loro. Così l'aura, ad esempio, comporta indici di referenza plurimi, come – per omonimia – al nome proprio dell'amata, oppure alla brezza che proviene dal luogo in cui lei si trova, e in fine in referenza al soffio, al respiro di lei viva. È evidente perciò che l'oggetto del desiderio si trova già, sin dal suo apparire, "fuori di sé, nel suo proprio 'al di là'. L'aura, l'auro, il loro dicono contemporaneamente un oggetto e l'altro. Ma dicono altresì che questo altro, questo altro che è lo stesso e che di conseguenza è il proprio altro, l'altro dell'altro, è il linguaggio": e precisamente il linguaggio colto nella sua struttura originaria, là dove essa fonda soggetto e oggetto, operando quell'apertura che è alla base del proprio infinito potere di creazione e di produttività semantica.

Per il terzo punto, si osserverà che qui siamo alla grande scoperta delle possibilità ludiche del linguaggio, non significative, giocate sulla matericità dello stesso, secondo un vastissimo spettro di modalità operative: da quelle concernenti la configurazione di reticoli sonori (ritmico-timbrici), a quelle particolarmente giocate sull'insistenza testuale di un timbro o di una lettera, a quelle della disseminazione anagrammatica o paragrammatica di un vocabolo privilegiato.

Una genealogia. Fatta dalla schiera dei continuatori (anche inconsapevoli) della poesia petrarchesca. I grandi petrarchisti italiani del Cinquecento, con Giovanni della Casa in testa, e in Francia Scève e Louise Labé, Du Bellay e Ronsard, Jodelle e Sponde, naturalmente Marino, e ancora Malherbe, Racine, Leopardi, Baudelaire, Mallarmé. "Il Soggetto del Canzoniere potrà riconoscersi e addirittura risolversi solo nella lunga, ininterrotta enunciazione di una domanda, la domanda d'amore, destinata a rimanere perennemente inevasa, cui restituisce, proprio grazie all'incorporazione della mancanza, quello che si è venuto configurando, lungo tutta l'elaborazione del Canzoniere, come la superba, inaugurale autonomia della forma".

Per mancanza di spazio, non possiamo dar conto dell'affascinante turbinio del lavoro del significante quale si dispiega in Funzioni anagrammatiche e rappresentazioni verbali nella poesia barocca: da Sponde a Marino, come pure dell'abissale calata nelle profondità del più segreto poeta francese dell'Ottocento: Le Miroir de l'Autre dans la poésie de Mallarmé: allusions, inscriptions, surimpression. A Saint-John Perse Agosti aveva già consacrato un lavoro a parte, assai ispirato, ma qui studia la funzione fàtica in lunghe pagine di grande bellezza. Tornano ancora una volta gli "sciacalli" di Montale, ritorna sull'assolutezza della sillabazione nella poesia di Orelli, affronta per la prima volta la cancellazione della parola e l'eccedenza del mondo in Jaccottet.

La seconda parte del volume di Agosti è consacrato al Testo della prosa. Per essere uomo-poesia, Agosti è un maestro grandissimo anche nel trattare la narrativa. Qui si va dal denso scritto di Valéry su Leonardo al Bonnefoy dei récits en reve, da un'introduzione a Cantare nel buio di Maria Corti al testo delle sensazioni, Le lune di Hvar di Lalla Romano, da un singolare e a volte comico esperimento di letteratura della psicoanalisi in Lacan fino al culminante saggio sul Pasticciaccio gaddiano. In Gadda assistiamo a un'impressionante pluralità di linguaggi, di lingue, di idiomi, una fitta rete di trapassi da un registro stilistico all'altro. Qui la dissipazione della voce narrativa comporta la dissipazione logico-razionale della res rappresentata (vale a dire: non individuazione del colpevole, interruzione della storia). Siamo in presenza di una non rappresentabilità di fatto che consente a Gadda di accedere a quello che Lacan chiama il Reale, di cui il Pasticciaccio è il simulacro abnorme e impassibile.

Agosti, critico solitario come il filosofo Amelio delle Operette morali, perviene a esiti che fanno di lui un critico "eccentrico", disorbitato, e nondimeno resta uno dei maggiori esempi di originalità nella comunità scientifica occidentale: Agosti è come l'uomo che dorme e sogna, in Proust, tenendo "in cerchio attorno a sé il filo delle ore, l'ordine degli anni e dei mondi".

 

 

Giovanni Cacciavillani

Leggi di più Leggi di meno

Conosci l'autore

Stefano Agosti

(Caprino Veronese, Verona, 1930) critico e saggista italiano. Docente di lingua e letteratura francese all’università di Venezia, affianca all’elaborazione di una teoria del testo poetico di stampo post-semiologico lo studio della letteratura contemporanea con strumenti che derivano dalla linguistica strutturale e dalla psicoanalisi lacaniana: Il cigno di Mallarmé (1969), Il testo poetico (1972), Cinque analisi. Il testo della poesia (1982), Enunciazione e racconto (1989), Critica della testualità (1994), Realtà e metafora: indagini sulla «Recherche» (1997), Forme del testo: linguistica, semiologia, psicoanalisi (2004), La parola fuori di sé. Scritti su Pasolini (2004).

Chiudi
Aggiunto

L'articolo è stato aggiunto al carrello

Chiudi

Aggiungi l'articolo in

Chiudi
Aggiunto

L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri

Chiudi

Crea nuova lista

Chiudi

Chiudi

Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.

Chiudi

Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore