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Non mi è piaciuto. Molto meglio l'eleganza del riccio. Noioso, lento. Non consigliato!
Bel libro: intelligente, originale, nonostante il tema - la cucina - negli ultimi quindici anni fin troppo sfruttato, scritto benissimo. E c'è anche una "morale": al termine del suo ultimo giorno di vita, dopo una affannosa ricerca del sapore unico e primario, l'arrogante, sofisticato, implacabile critico gastronomico, riscopre la semplicità, il sapore che, da bambino, gli donava momenti indimenticabili. Un ben libro che coniuga la complessità delle descrizioni con la semplicità del finale.
Non mi è piaciuto, e dire che la trama, il cibo, la golosità, l'idea del critico, tutto in questo libro mi diceva che dovevo leggerlo. Non è questione di esser noioso, vari racconti che girano intorno alla figura del critico morente, ma è proprio la conclusione, il finale, l'arrivo del suo ultimo anelito e qui mi femro per non spoilerare, che trovo delidente a tratti irritante e, no, proprio stupido. Quindi 1 e mi liberererò pure del libro che ha la stessa verbosità ovviamente dell'eleganza del riccio ma in quel caso era meno fastidiosa. Pubblicato in precedenza come "Una golosità"
Recensioni
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Già pubblicato in Italia qualche anno fa (Una golosità, Garzanti, 2001), prima che arrivasse il grande successo de L'eleganza del riccio, il romanzo d'esordio di Muriel Barbery ha già in sé tutti gli ingredienti che avrebbero decretato il successo mondiale dell'autrice francese. Mai come in questo caso è appropriato parlare di "ingredienti", dal momento che il libro è percorso, pagina dopo pagina, dai profumi, dai sapori, dall'aroma intenso del cibo.
Nel signorile palazzo di rue de Grenelle, dove vive la portinaia Renée, abita anche il più blasonato critico gastronomico del mondo. Capace con un gesto di rovinare la carriera dei più famosi chef, ma anche di innalzare al Parnaso della gastronomia piccoli bistrot sconosciuti, il signor Arthens è il più cinico, burbero, arrogante uomo sulla terra, un uomo che ha fatto terra bruciata intorno a sé facendosi odiare e odiando a sua volta i suoi figli, sua moglie, le sue amanti, ma anche il gatto, le statue, i quadri della sua casa. Tutto gronda rancore, ogni singola persona interpellata emette la stessa sentenza: "che muoia pure! Despota, indolente, vecchio pazzo!".
Un pazzo, ma anche un genio, che durante la sua carriera, con la sua penna, la sua audacia e il suo brio, con la sua proprietà di linguaggio è riuscito a cogliere l'essenza di ogni cibo. Dal cioccolato alla mollica del pane, dal sashimi alle erbette aromatiche di campagna, ogni sapore riceveva dalle sue parole una spinta vitale. Come un Demiurgo il noto gastronomo plasmava l'essenza dei cibi, trasformandoli in esperienze sublimi, dando dignità estetica all'azione basilare dello sfamarsi. La magia dell'arte e delle parole, attraverso cui la fame diventa bramosia, e la sazietà sovrabbondanza.
Ma in punto di morte, steso nel suo letto, mentre i suoi parenti e le poche persone con cui ha avuto a che fare gli augurano di andare dritto all'inferno, Arthens non trova le parole. Ha perso il gusto, non sa più descrivere quel desiderio che gli arde nella gola, che solletica le sue papille gustative. Il ricordo di un sapore ormai perso nel tempo, forse qualcosa che viene dalla sua infanzia, o da uno dei suoi numerosi viaggi intorno al mondo. Forse un sapore perso per scelta, deliberatamente ignorato, forse la base, il comune denominatore di tutti i sapori.
Un romanzo che trascina, con pungente ironia, attraverso la parabola della vita e della morte, un libro che sfocia, anche in questo caso, nell'indagine filosofica sull'eterno rincorrersi di realtà e apparenza.
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