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Donne di altre dimensioni - Radu Sergiu Ruba - copertina

Descrizione


Marietti 1820 propone la prima traduzione italiana del romanzo autobiografico dello scrittore rumeno Radu Sergiu Ruba. Dalle pagine emerge un Novecento inedito, osservato e narrato da un villaggio della Transilvania, pacifico e cosmopolita, in cui si parla rumeno, ungherese e tedesco. Le vicende familiari sono animate da personaggi di grande espressività e si intrecciano con la grande storia, nella memoria di Auschwitz e della fine di Ceausescu.
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Dettagli

2019
14 ottobre 2019
296 p., Brossura
9788821113277

Voce della critica

Radu Sergiu Ruba arriva in Italia per la prima volta grazie a Marietti e alla traduzione di Giuseppe Munarini. Donne di altre dimensioni (318 pagine, 24 euro), questo il titolo del volume, già vincitore del premio Radu Petrescu e di altri prestigiosi riconoscimenti in Romania. Ma chi è Radu Sergiu Ruba e perché la sua voce non era ancora arrivata in Italia? Classe 1954, lo scrittore, cieco dall’età di undici anni, si è laureato in filologia francese e inglese a Bucarest e si è impegnato in attività editoriali e giornalistiche. Donne di altre dimensioni è una sorta di racconto biografico con cui racconta la propria storia, quella della propria famiglia intrecciando storie e visioni che lo hanno accompagnato per tutta la vita.

«Perché l’uomo può perdere la vista, ma non la memoria del visibile, può sparire la funzione dell’occhio, ma mai il ricordo della luce percepita con la vista».

Le ciglia interiori del Novecento

Sembrerebbe un paradosso parlare di visioni per un cieco, eppure sono loro a dare corpo al testo. La cecità è al centro dei racconti che si succedono come capitoli e sono quasi storie a se stanti, che in un gioco di rimandi, agganci al passato e proiezioni future vanno formando la coesione di questo testo dandogli la forma di biografia.

Sono dunque le immagini ad aver catturato lo scrittore, ad averlo invitato a dare vita a questo libro, un testo in cui convivono deportazioni in campi di concentramento tedeschi, deportazioni nei Gulag, storie di perdite e di ritorni, leggende ascoltate da un bambino nato nel 1954, ormai al di là del conflitto mondiale, ma ragazzo ancora al di qua dell’Europa unita e del crollo del regime comunista di Ceausescu.

In queste storie, inevitabilmente, si compone un Novecento osservato da angolazioni molto particolari: quella di un cieco, certo, ma anche e soprattutto quella rumena, con la storia di un paese spesso tenuto ai margini, con corpose e approfondite note al testo il cui compito è proprio quello di ricostruire la complessa genesi un paese cosmopolita.

Frammenti di mondo, ecco cosa sono i singoli capitoli-racconti di questo testo. E se tutto è stato immaginazione da quando gli occhi hanno smesso di funzionare, da quell’ultimo baluginare di luce entrato di sbieco nel campo visivo del Radu Sergiu bambino, allora il raccontare sarà uno sforzo per ricostruire, una ricerca di immagini, un intreccio di storie da ricordare, da tenere insieme.

Il testo trasformato in voce, è così che si apre e si chiude il libro, ragionando sui software per non vedenti che traducono in suono le lettere digitate sulla tastiera, ma è nella via contraria, dalla voce al testo, che questo racconto prende forma. Ricordi, flebili raggi di luci e colori rimasti impressi nella retina dell’autore bambino convergono a creare il mondo, sia esso quello contemporaneo, sia esso quello di ricordi ascoltati, che si perdono in storie quasi leggendarie. Ci sono epopee familiari che narrano di emigrazioni in America, in una Chicago ben diversa dal piccolo paese rurale della Romania dove la bisnonna della scrittore, mamma Floare, era cresciuta e finirà per tornare, leggende di streghe e navi di porcellana, giochi di iridi e frontiere tedesche vacillanti nel 1989, dirigibili su cui volare per affermare la propria scrittura, la propria voce.

Territorio di lingue e culture che coesistono, talvolta si accavallano, si mescolano in modo impensato: romeno, ungherese, e poi tedesco e russo, eccole, le voci dello scrittore, le sue e quelle del suo patrimonio sonoro. Fuori, l’Europa stravolta dai conflitti del Novecento: imperi, invasioni, regimi e frontiere che si disfano e cambiano i piani sul tabellone delle popolazioni, in una terra, la Transilvania, nei cui boschi e paesi si materializza l’incontro-scontro tra l’Europa occidentale e l’oriente.

Nella piccola zona della Valle di Maria sembra però che la convivenza sia possibile, nonostante le differenze di lingua e di religione, o forse proprio in virtù di una varietà di culture e visioni. Ancora le visioni: quelle dell’autore, che rivede le immagini che lo avevano catturato nel tempo paradisiaco e pieno di luce dell’infanzia. Il cinema è luce, e nella luce si gira il film mentale che include frammenti di storie, «cocci di sogni raccontati al alta voce».

Da quando ha perso la vista, Radu Sergiu vede solo i frammenti di mondo che gli sono rimasti impressi, immersi in vividi colori che si fanno sinestesie: è così che conosce e ama le donne della sua vita, in un’altra dimensione, effimera, imprendibile, eppure sicura, veritiera. È la voce dei sentimenti, della vita interiore che affascina lo stesso scrittore, e di cui da sempre prova a dare descrizione con le parole. «Percepisco subito i brividi che le emissioni della bellezza provocano – racconta – a una simile donna non solo è propria la naturalezza dei gesti, dell’espressione in genere, ma, attraverso la sua presenza, si sviluppa la stessa naturalezza con la quale si relaziona con un altro io».

In questa ricerca, e in questo mondo sconosciuto allo sguardo, si cela l’essenza stessa di un romanzo di rara forza e ampiezza, un tuffo nella storia, a occhi chiusi e mente spalancata.

Recensione di Alessandra Chiappori

 

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