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"Sono nato nel mese dei morti" è un bel libro, lo dico subito. Luigi Bartalini con la pubblicazione che segue "Il filo dei pensieri", ci regala un romanzo delicato e struggente. L'io narrante ha prevalentemente la voce di un bambino di cui non si conosce il nome. Sembra un dettaglio poco significativo e invece vuol dire tanto: avere un nome significa esistere e avere un'identità. Sentirsi chiamare per nome svela le intenzioni di chi pronuncia quella parola che ci identifica; ci preannuncia cosa ci sarà nella frase che segue: l'amore di una mamma, il rimprovero di un superiore, la derisione di un compagno di scuola, l'affetto di un amico. Persino Dio chiama per nome, nella Bibbia, per farci sentire importanti. Nel commovente romanzo di Bartalini i protagonisti non hanno un nome: sono la mamma, il padre, la zia della moglie, la suora, il figlio. Figure poco amate o che hanno avuto poca consapevolezza dell'amore ricevuto. È qui la dolorosa dolcezza del libro e non certo nel mese di novembre. Il titolo può sembrare fuorviante solo a una persona distratta: il mese dei morti è triste, quindi? È lo stesso protagonista che, ormai adulto, deride la cognata che l'accusa di essere "ombroso" perché nato a novembre. Lo struggimento invece viene dal dialogo tra un bambino e sua madre; ne sentiamo entrambe le voci, sole e - spesso - inascoltate. In età adulta, il protagonista avrà il medesimo schema di dialogo con sua moglie: "Voci di dentro", insufficienti a chiarire le proprie posizioni e sentimenti, perché troppo spesso lasciano spazio a gesti, sguardi, occasioni perdute e sbiadite fotografie in bianco e nero.
Un romanzo che cattura le complessità del rapporto tra madre e figlio. Una testimonianza della moltitudine di emozioni contenute nel cuore umano che segnano la storia personale di un individuo.
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