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Penso che l’evento più saliente della vita, quello che volutamente ci scordiamo, sia la sua fine, cioè la morte. Ora parlare di un tema così delicato, al punto che la mente umana lo accantona per poi riprenderlo in occasione di decessi altrui o in prossimità del proprio, non è certo cosa facile, quasi da scongiuri verrebbe da dire se si volesse ironizzare volando bassi. Invece l’argomento ha la sua dignità e la sua logica, tanto che in altri autori, scrittori o poeti, assurge a protagonista. Fabio Barcellandi, in questa sua seconda silloge, si propone come antagonista in un dialogo con la signora dal nero mantello, a diversi livelli di discussione, ma penso con un’unica finalità, quella di esorcizzarla. Il tema ricorre anche quando apparentemente il percorso è diverso (io sono/un fiore/d’esser colto/in attesa di/ morir/fra le tue mani); si potrebbe pensare a versi rivolti a un’amata fanciulla, ma non è così, perché invece è un abbandono totale all’ultimo passo, quasi un invito alla dolcezza dell’atto stesso con cui finisce la vita terrena. A scanso d’equivoci, c’è addirittura una lirica dedicata alla morte (Morte), curiosamente contraddistinta da versi costituiti da una sola parola, quasi un sillabare devoto a chi è più forte di noi. Per non parlare poi di La Morte, assai riuscita nella sua completa essenzialità (canto/d’amore/per la vita/ché tutta per sé la vuole). L’antitesi è fra il positivo (la vita) e il polo opposto che è la morte, una belva sempre vincente nella tenzone. Da leggere, senza lasciarsi impressionare, ma riflettendo affinché ci si renda conto di quanto ogni vita meriti, sempre, di essere vissuta.
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