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Seconda guerra mondiale. Nella devastazione prodotta dallo spaventoso bombardamento che rase al suolo la città di Coventry e la sua cattedrale simbolo, Helen Humphreys introduce due figure femminili e il figlio di una di queste mentre attraversano quella notte più buia. Il loro non é solo un vagare sconvolto tra le bombe e le macerie. Toccano l’orrore, eppure inseguono tracce di speranza, un anelito di vita. Nel caos di quelle ore, Harriet accompagna il giovane Jeremy alla ricerca della madre Maeve, e attraverso la tenerezza di questa vicinanza rivive l’emozione del ricordo del marito morto nella prima guerra mondiale. Anche Maeve sta cercando Jeremy, amore incondizionato, figlio voluto a dispetto di tutto. Trovandosi, le due donne si riconosceranno a distanza di molti anni da un incontro fugace. Un episodio che dette ad entrambe la sensazione che tutto della vita, della giovinezza, fosse loro offerto. Sono ora, invece, due superstiti segnate dal lutto e dal dolore, ma ciascuna vede nell’altra la testimone e la custode della propria perduta felicità. Così la nuova cattedrale di Coventry, oggi, nasce dalle rovine che sono sopravvissute a quella notte, in una continuità architettonica che testimonia quanto distruzione e rinascita siano due facce della stessa medaglia. È una metafora che ci parla del trauma del lutto, della memoria. Qualcosa che non possiamo seppellire perché é proprio lì che sta anche la consolazione di sentire ancora vivo chi abbiamo perduto. Ancora una volta, Helen Humphreys ripercorre un fatto storico (o di cronaca, o la vita di una figura significativa) e lo romanza senza troppo curarsi che la sceneggiatura sia di grande impatto. Quel che conta é la chiave lirica con cui si entra nelle sue storie, ciò che leggiamo sotto traccia, quanto ci tocca il peso specifico delle vite minime che lei racconta.
bellissimo e avvincente. La Humphreys, come sempre, commuove.
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