Le prove di trascritture verbali di opere d'arte, con la restituzione e la reinvenzione di iconografie e immaginari per analogia e per metafora, sono gli aspetti più significativi del libro di Roberto Rossi Precerutti La legge delle nubi, strutturato in cinque scomparti, dedicati a Un sogno di Lorenzo Lotto, Una città invisibile, Stanze sulla poesia, Non viene l'alba, La legge delle nubi, nei quali la prosa si alterna alla poesia con esplicite indicazioni di ideologia e di poetica, in particolare nell'ultima sequenza che ha lo stesso titolo dell'opera. In questo riparto sulle ragioni della poesia e sulla sua funzione, ammiccando, con l'epigrafe pirandelliana di Uno, nessuno, centomila, alla spoliazione di ogni certezza identificativa, Rossi Precerutti delinea la sua autobiografia, utilizzando memorie familiari e reminiscenze figurative, musicali, letterarie. Rappresenta la sua scelta ("volli essere poeta"), risalendo all'adolescenziale identificazione nel "Principe d'Aquitania dalla Torre abolita", El Desdichado delle Chimères di Nerval. Si raffigura escluso, separato, con un "passo di sonnambulo", con "il vizio antico del (
) disabitare fuori del vetro delle decisioni e delle scelte", risoluto però a parlare a nome di tutti, per proclamare, secondo l'insegnamento di Osip Maldel'tam citato in fronte alle Stanze sulla poesia, la disperazione della vita e della storia, e per denunciare penosi disinganni. Evocando e straniando opere d'arte e testi letterari, Rossi Precerutti interpreta concezione, forme e modi della sua scrittura, intonata dalla citazione dantesca (Par., XXVII, 28-30), apposta prima della dedica, e successivamente ritmata dalle epigrafi ai singoli scomparti in cui egli riprende puntualmente gli autori prediletti e, significativamente, Osip Maldel'tam e Vladislav Chodasevič, nei quali è viva la lezione dantesca. Con Nerval, considera il sogno una seconda vita; e ritiene sogno l'arte, quella pittorica come quella letteraria, come attesta una vasta tradizione e come suggeriscono gli autori a cui ha dedicato l'antologia poetica del 2006, incentrata sull'apparentamento delle arti, sulla relazione tra architetture, bassorilievi, statue, decorazioni, manifesti, letteratura, sulla contaminazione dei generi, sull'osmosi di forme e modi, e opportunamente corredata di fotografie (Torino Art Nouveau e Crepuscolare. Poeti e luoghi della poesia, Crocetti). Nell'esperienza poetica torinese di questo periodo, infatti, il sogno è mot-thème nella scrittura di Giorgieri-Contri, progetto di poesia esibito nella intitolazione della raccolta di Sella (Questo è sogno), e dissacrato poi in quella di Chiaves (Sogno e Ironia). È polemica contro il filisteismo borghese, protesta nichilistica e antidannunziana nei "versi bizzarri" e nelle "bislacche parole" di Vallini (Un giorno); è canto intonato al "presente vertiginoso" in Oxilia, che, nel componimento Il saluto ai poeti crepuscolari, si congeda dal "sogno vestito d'ombra e niente" di Gozzano e dai rêves dei poeti a lui vicini. Incise nel ricordo, locuzioni e figurazioni antiche e contemporanee sono riutilizzate da Rossi Precerutti per definire il suo sogno, nel quale "le nuvole" sono schermi e bersagli della luce, e per rivelare non solo "il gioco combinatorio dei destini incrociati" nel buio, nel mistero del vivere, intravisti attraverso "la nebbia", "i vapori", "il velo". A esorcizzare infatti "le mareggiate del niente", "l'essere destinati a morire", senza alcuna alba di trascendenza, è la conquista della "grazia fragile negli interstizi del tempo che trascina a un nessundove", è "l'incerto scintillio di una parola che non fa fiorire il vuoto", è l'improvvisa bellezza, inseguita, e solo a tratti posseduta, che non risarcisce, e neppure consola se la domanda del poeta ("ma
quale consolazione nella scrittura?") ha come disperata risposta "sapere che cosa muore, ed ignorare verso che cosa si sta procedendo". Il sogno poetico, che è resistenza, testimonianza, sfida, non salva dall'orrore della fine, come appare evidente nella trascrittura espressionistica del Trionfo della morte di Pieter Bruegel il Vecchio, contemplato al Prado e reinventato da Rossi Precerutti con i modi di Anna Banti o piuttosto alla maniera di Longhi e di Testori, al di fuori però di ogni incardinamento storico e culturale: "Viene, l'odore nauseabondo dei tessuti bruciati, dei corpi non detersi intrisi di paura sotto la condanna gettata come semente, e non vale, la macchina esplosa, rifugiarsi sotto il tavolo, avvinghiarsi agli scrigni di ghiaccio, gli occhi calcificati prima della fragile battaglia che ancora possiede il cavaliere scarlatto, la mano alla spada per donarsi a un raggio rabbuiato eternamente". Resta la memoria, anche se "è difficile discriminare se più nuoccia alla fama di un artista essere dimenticato che mal conosciuto". È Anna Banti, autrice della Rivelazione di Lorenzo Lotto, da cui è tratta questa citazione posta nell'epigrafe di Un sogno di Lorenzo Lotto, a configurare, con Longhi e Testori, e a suggerire a Rossi Precerruti temi, forme e modi per la reinvenzione verbale di opere dell'irrequieto pittore cinquecentesco, "non ancora riconosciuto, come dovrebbe, uno dei massimi". Si tratta di trascritture sintatticamente e grammaticalmente emozionali, allusive, incentrate, con suggestiva assimilazione degli autori prediletti, su una sorta di identificazione del poeta con l'artista, e anche sullo sprofondamento nelle proprie inquietudini, sul riconoscimento delle proprie ossessioni, sulla rivelazione della propria inanità, sulla denuncia della fragile inconsistenza delle cose, specchiate sembianze del nulla, del destino di solitudine e morte dell'individuo. Da questo punto di vista Rossi Precerutti interpreta il Ritratto di Laura da Pola della Pinacoteca di Brera, descritto sinteticamente da Banti come "un manichino di allettanti suntuosità vestimentarie": "Dura il sentimento di un comune dolore, la neve del ventaglio a sopraffare la morte, e ci incanta il gioco della riduzione il caos eletto dietro la pesante cortina, l'anno si confronta con la sua voce d'acqua e di cenere". Allo stesso modo, a proposito di celebri ritratti maschili, meditativi e malinconici, con "teschietto", "libro", "pietra incisa", "salamandra", "petali di rosa sfiorita", nei quali, secondo Banti, "il termine infallibile della morte veniva a galleggiare nell'assorta pupilla", Rossi Precerutti reinventa i temi dell'"insostenibile vuoto", della brevità della vita, della "calce della morte". In queste guise e con questi accenti trascrive il Ritratto di gentiluomo con petali di fiori e piccolo teschio della Galleria Borghese: "Così, nell'abbraccio implacabile, chiamiamo sola luce il velluto delle dita costrette da piccole corone i petali di ruggine e biacca che il semplice desco festeggia nel riflesso di un avorio ruzzolato fra l'odore della morte". Un sogno di Lorenzo Lotto è lo scomparto più vivo e malioso del "commuoversi cantando"di Rossi Precerutti, scandito successivamente dai sonetti, posti sotto il segno di Oxilia e dedicati a Torino, evocata soprattutto con la ripresa e la reinvenzione di Gozzano, della scuola dell'ironia e degli artisti che hanno operato in questa "città invisibile", a cui seguono, dopo le Stanze sulla poesia, i sonetti sull'inattingibilità della luce di Non viene l'alba, esemplarmente introdotti dalla citazione di Vladislav Chodasevič, in cui riecheggiano lemmi danteschi: la "lonza" del primo canto dell'Inferno, che, con il leone e la lupa, impedisce a Dante il cammino dalle tenebre alla luce, alla salvezza, al riscatto, e Virgilio, maestro e guida fino agli "splendori antelucani", al "sole" che "riluce" sulla "fronte" del pellegrino (Purg.,XXVII, 109, 133), al "novo giorno" (Purg., XXVIII, 3) del paradiso terrestre. Barbara Zandrino
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