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Ma che…?
E un bollitore per il tè? Con il beccuccio che, all'uscita del vapore, si apre e si chiude come una bocca e sibila belle melodie, o recita Shakespeare, o semplicemente si scompiscia dal ridere con me? Potrei inventare un bollitore che legge con la voce di papà, così riuscirei ad addormentarmi, o magari un intero servizio di bollitori che cantano il ritornello di Yellow Submarine, una canzone dei Beatles, che mi piacciono perché l'entomologia è una delle mie raisons d’être, un'espressione francese che conosco. Sarebbe bello anche allenare il mio ano a parlare mentre tiro le scoregge. A voler essere proprio spiritoso al massimo, potrei insegnargli a dire: « Non sono stato io! » ogni volta che ne sgancio una di quelle incredibilmente toste. E se mai ne sganciassi una di quelle incredibilmente toste nella Sala degli specchi di Versailles, che è vicino a Parigi, che è in Francia, naturalmente il mio ano direbbe: «Ce n'étais pas moi!» E dei piccoli microfoni? Tipo che tutti ne inghiottiamo uno, e loro diffondono i suoni del nostro cuore grazie a piccoli altoparlanti che potremmo tenere nella tasca della salopette? Di sera, andando in strada con lo skateboard, potremmo sentire i battiti di tutti gli altri, e gli altri potrebbero sentire il nostro, come una specie di sonar. La domanda assurda che mi faccio è se i cuori di tutti comincerebbero a battere contemporaneamente, come alle donne che vivono insieme vengono contemporaneamente le mestruazioni, che sono una cosa che conosco, anche se non ci tengo molto a conoscerle. Sarebbe davvero assurdo, a parte che il posto dell'ospedale dove nascono i bambini farebbe tin-tin come un lampadario di cristallo in una casa galleggiante, perché i bambini non avrebbero ancora avuto il tempo di sincronizzare i battiti. E al traguardo della Maratona di New York sembrerebbe di stare in una guerra.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Argomento tristemente noto legato all’attentato dell’11 settembre la cui storia è nota a tutti. La storia tuttavia si svolge su piani diversi e la lettura risulta faticosa e difficile da seguire. Io ho fatto veramente fatica perché alcune parti erano prive di stile. Angosciante e faticoso e molto artefatto tanto che a volte si perde di vista il narratore! Mi dispiace ma questo autore non fa per me!
Una magnifica sorpresa. Una lettura magnetica, a cui con estrema difficolta' riuscivo a staccarmi. Oltre alla trama, quello che colpisce e' la struttura, il punto di vista del protagonista, lo stile del romanzo. Pagine che scorrono, quando arriva l'ultima arriva anche il momento piu' difficile: interrompere la lettura.
Oskar ha scarpe pesanti quando si sente triste e si veste di bianco passando il tempo a immaginare rivoluzionarie invenzioni o in improbabili cacce al tesoro. Il dettaglio è ciò a cui si è legato da quando suo padre è rimasto vittima dell’11 Settembre. Plastifica le lettere dei personaggi famosi che rispondono alle sue, ama la scienza e la logica fisica in un mondo pieno di caos, è estremamente curioso e sempre a caccia di indizi. Quando nello stanzino del padre trova una piccola chiave in un vaso blu sul ripiano più alto, ha inizio la sua più importante caccia al tesoro. Si potesse tornare indietro, fino al momento in cui qualcosa si è rotto. Aggiustare il destino, trattenerlo come i ganci che provarono a trattenere il sesto distretto di New York, almeno nelle leggende metropolitane, mentre invece tutto va avanti. Si sarebbe potuto fare, dire, pensare e invece si son prese altre vie. Eppure la vita non è che spostare anche un solo granello di sabbia per cambiare il deserto e dalle esperienze che vorremmo non fossero mai accadute tutto si muove come piccole onde verso altro. Si parla dell’ 11 Settembre, ma non solo. Si parla anche di una distruzione lontana nel tempo che ha influito fino a specchiarsi in quella attuale. In realtà si tratta di un gioco di specchi fino all’immagine attuale. Si procede in una ricerca a ritroso ma anche nel presente, fino a confluire nella mancanza di una persona comune. La chiavetta trovata da Oskar in un vaso sulla mensola di suo padre aprirà tantissime porte metaforiche in un incontro multiforme di persone, di esperienze, di affetti. “Se le cose fossero facili da trovare non varrebbe la pena trovarle”. Io ho trovato questo libro e ne è valsa assolutamente la pena. Incredibilmente forte e molto vicino al cuore.
Recensioni
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“L’unica luce era la televisione.”
Oskar è un bambino newyorkese di nove anni che ama viaggiare con la fantasia. Un piccolo inventore di mondi magici: come il suo progetto di tubazioni collegate ai cuscini di tutti i letti di New York per raccogliere le lacrime di chi piange prima di dormire, riversale nel laghetto di Central Park per mostrare ogni giorno il livello di sofferenza della sua città.
Anche a Oskar capita di piangere sul cuscino: da quando suo padre è morto nell’attacco alle Torri Gemelle. La sua salvezza è dentro di lui: l’immaginazione.
Da qui parte Jonathan Safran Foer, già autore di Ogni cosa è illuminata, per imbastire un romanzo singolare: più che letto, va vissuto. Immergersi in queste pagine, infatti, è un’esperienza emozionale che capita raramente nel nostro mondo di carta: è l’esplosione di un autore pirotecnico, dirompente, capace di commuovere e di far sorridere. Perché tutto ciò che (de)scrive Foer è Molto forte, incredibilmente vicino: è un catapultarsi in una realtà che, troppo spesso, abbiamo vissuto da spettatori senza renderci conto che la guerra è ogni giorno: invisibile, ma altrettanto letale. Dalle ceneri della devastazione Foer è capace di renderci i fiori del bello, dell’umano, in un rinascimento di carta che – pagina dopo pagina- ci riconcilia con l’esistenza. Quella più vera, quella che sprechiamo nell’attesa di un tram o di un desiderio.
Ciò che più conta, però, è che Foer ci dimostra come “l’immaginazione è lo strumento della compassione”. Un concetto che si respira in tutto il romanzo e che si disvela nelle ultime, geniali, pagine del libro.
A cura di Wuz.it
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