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"Mala kruna" significa "piccola corona di spine", ed è un titolo che ben esprime il dolore sottile e penetrante che pervade ogni pagina di questo primo volume di poesie della poetessa marchigiana Franca Mancinelli (1981). Sia i due versi danteschi che fungono da esergo, sia la composizione iniziale, con il suo mare tormentoso, il vento, l'isola, la madre nera vaticinante e "un cattivo tempo che non faceva/ partire le barche", introducono al sentimento di rassegnata e consapevole tristezza che costituisce la nota dominante, il basso continuo del libro. I versi "essenziali, incisivi, affilati" ribadiscono con ostinata asciuttezza il senso di perdita e di abbandono che l'autrice patisce sulla propria pelle dalla prima infanzia: "anni che perdono parole/ dalle mie dita aperte", bambina segnata da una separazione, dalla lontananza della figura paterna (il padre che guida mentre lei piange sul sedile posteriore dell'auto, i filmini di un passato ricomposto "solo nei pranzi", i regali ricattatori offerti per un improbabile perdono"). Quella ferita non si ricomporrà, e rimane nel rapporto con la natura, con gli amori, con se stessa. Il paesaggio marino viene fissato negativamente ("sale solidificato", "gusci morti", "schianto sullo scoglio"). Il sentimento amoroso vive in una sostanziale estraneità e incomunicabilità dei corpi ("vieni negli anni muti, mani premute/ sulle labbra, il corpo perso", "quale piaga insieme siamo/ distanti// solo arsa saliva pesto petto", "insieme/ staremmo come due cucchiai riposti/ asciutti nel cassetto", "in una piazza ci sfioriamo/ le lingue come gambi senza fiore"). Ma è soprattutto la visione di un sé mai rappacificato che rivela la cicatrice lasciata dalla "mala kruna", resa con indubbia icasticità e pregnanza da questi versi, giovani ma impietosi: " sono seduta in briciole", "chiudo le arterie e torno/ monca alla vita", "mentre mi scucio e frano", "sono/ creta sul letto di un fiume di passi"...
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