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Stephen Rebello ripercorre in questo libro le tappe della lavorazione del capolavoro di Hitchcock, e, sebbene indugi a volte eccessivamente in una certa aneddotica, riesce bene a cogliere influssi e motivazioni che stanno alla base della realizzazione del film. Emerge innanzitutto l'immagine di un Hitchcock teso a dare una svolta alla sua carriera attraverso la decisione di realizzare un film in cui l'unica vera star non avrebbe più avuto il nome di James Stewart, Grace Kelly o Cary Grant, bensì quello dello stesso Hitchcock. Sin dal suo concepimento, Psycho è, infatti, un film che vuole giocare tutte le sue carte sulle capacità del cinema di costruire e determinare le emozioni dello spettatore attraverso la tecnica, il linguaggio e, soprattutto, lo stile del suo autore. In questa particolare dimensione, l'attore non era altro che uno dei semplici strumenti di cui il regista disponeva per determinare l'ordito della sua trama. Il modo in cui Hitchcock tratta il volto dei suoi attori - spesso fissati in espressioni univoche, sostanzialmente prive di sfumature - ne è un'evidente dimostrazione. Implicitamente, Rebello sottolinea poi come il progetto di Psycho si configurasse anche come una sorta di sfida all'estabilishment hollywoodiano attraverso un film con tutte le caratteristiche di un prodotto di serie B - basso budget, stretti tempi di lavorazione, troupe televisiva, paghe sindacali, uso del bianco e nero - diretto però da un regista di serie A. Come a voler dire che non sono i soldi, bensì l'autore, a poter fare grande un film. In tutto ciò era in gioco una sorta di volontà di affermazione - in quegli anni Hitchcock veniva coccolato dai giovani critici dei "Cahiers du Cinéma" - attraverso un gesto provocatorio - la scelta della serie B - che tuttavia aveva un illustre precedente: l'Orson Welles di L'infernale Quinlan (1958). E proprio a questo film di Welles Hitchcock pensava quando decise di aprire il suo Psycho - idea a cui però dovette rinunciare per ragioni economiche - con una carrellata aerea di quattro miglia che "avrebbe superato" il virtuosistico piano sequenza d'apertura di L'infernale Quinlan. Un altro aspetto significativo della genesi di Psycho riguarda i suoi legami con I diabolici (1954) di Henri-Georges Clouzot, uno shocker di grande successo anche in America che fece sì che il suo regista venisse definito "l'Hitchcock francese". Con Psycho, il regista inglese volle dimostrare di sapere fare meglio, e il fatto di esserci riuscito non può impedire il riconoscimento dei forti legami fra le due opere, che, con puntualità, Rebello elenca: dalla fotografia in bianco e nero alle pettinature di Janet Leigh e Simone Signoret, dall'apparizione nella seconda parte del film di "un sudicio investigatore con l'aria di un uomo comune" alla stanza da bagno come scena dell'omicidio, dalla "fetida piscina" che si trasforma nell'"ingorda palude" alla "ragion d'essere di entrambi i film" che "sta nella scena finale". Il libro descrive puntualmente il lavoro di stesura della sceneggiatura e quello delle riprese - con particolare attenzione alle scene dell'omicidio nella doccia e dell'uccisione di Arbogast. Una particolare attenzione è dedicata anche a questioni più strettamente tecniche: la scelta di utilizzare un obiettivo di 50mm, la lente che più si avvicina alla vista umana, è, ad esempio, un modo attraverso cui il regista facilita i meccanismi di identificazione tra personaggio e spettatore. La realizzazione di Psycho è poi seguita anche nelle sue fasi di post-produzione, concernenti, fra l'altro, il rapporto con Bernard Hermann, che avrebbe concepito una vera e propria musica "in bianco e nero", fatta tutta di vibranti sonorità di violini e violoncelli. L'amore che Hitchcock aveva per il suo film è anche testimoniato dal diretto impegno del regista per il suo lancio promozionale, che implicò, fra il resto, la realizzazione di un curioso trailer di sei minuti in cui lo stesso Hitchcock fa da cicerone a una visita guidata alla casa e al motel di Norman, presentati come musei dell'orrore (un piccolo film a se stante, teso a solleticare la curiosità dello spettatore e a indirizzarlo verso diverse false piste). Hitchcock, infine, arrivò a scrivere delle lettere agli esercenti, per ricordare loro come "nessuno... ma proprio nessuno" doveva essere ammesso in sala dopo l'inizio della proiezione. La Paramount giunse addirittura a offrire agli esercenti un vero e proprio kit, con grossi orologi da mettere nell'atrio delle sale, per ricordare al pubblico gli orari di proiezione, e sagome di cartone con l'immagine del regista a grandezza naturale che, grazie a una voce preregistrata dello stesso Hitchcock, annunciavano al pubblico che "qualsiasi illegittimo tentativo di entrare da porte laterali, uscite di sicurezza o prese d'aria sarà bloccato con la forza".
recensioni di Tomasi, D. L'Indice del 1999, n. 07
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