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Anno edizione: 2015
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L'autore parte dalla seguente constatazione: esiste un ambiente "invisibile" per la maggior parte degli individui, come dei gruppi sociali, di cui ciascuno ha le immagini che gli vengono trasmesse dai mezzi di comunicazione. Prosegue, poi, definendo la propaganda come lo sforzo di modificare queste immagini a cui reagiscono gli individui, cercando di sostituire un modello sociale con un altro. Successivamente da la definizione di Opinione Pubblica, che è l'insieme delle immagini in base a cui agiscono gruppi di persone, o individui che agiscono in nome di gruppi. Arriva così al vero oggetto del libro che conduce il lettore anzitutto ad analizzare gli ostacoli di vario genere che limitano l'accesso di tutti all'ambiente invisibile, quindi a cercare di costruire quella che potremmo definire come una "teoria democratica dell'opinione pubblica". Di seguito sottolinea un aspetto che è di singolare attualità: la necessità di un'organizzazione indipendente che si deve prendere l'onere delle decisioni in un paese è indiscutibile e non è legata alla peculiarità del sistema elettorale adottato. Nella parte centrale affronta in maniera analitica proprio i problemi che nascono dalla difficoltà di comunicare a tutti l'ambiente invisibile libero dagli ostacoli che vi si frappongono, dai complessi meccanismi che condizionano la comunicazione nella società industriale. Infine, l’ultima parte la dedicata a quello che era nel 1921 il mezzo di comunicazione per eccellenza, i giornali. L’ho acquistato per curiosità perché è un testo molto conosciuto essendo un classico degli studi internazionali sulla comunicazione e sull'informazione. Purtroppo nel complesso l'ho trovato ostico e ho finito di leggerlo a fatica, sia per la complessità dei temi trattati, sia per i continui riferimenti alla situazione politica, economica e sociale degli Stati Uniti d'America dalla sua costituzione fino alla I° Guerra Mondiale, a me poco nota.
Citato da Montanelli e Augusto Guerriero, Lippmann sviluppa l'indagine, esponendo i singolari aspetti del volubile comportamento umano. Stereotipi condizionano la folla; così è impossibile prevedere le sue inclinazioni. Perché fissare norme, pianificare a priori come i collettivisti, credendo d'interpretare le aspirazioni delle masse? Siamo stimolati da curiosità in modi distinti. L'ignoto seduce e siamo attratti da nuove prospettive; stuzzicati da dubbi cerchiamo nuove risposte, accettando sfide nell'intuito di superarci; improvvisando ci mettiamo alla prova fin dall'infanzia. Sbagliamo, correggendoci. Vie infinite offrono prospettive nuove e incerte; tutto è volubile; inutile stabilire mete previamente. Niente è scontato; tutto dipende da circostanze. Lo insegna Hayek: con mezzi similari si possono ottenere risultati distinti; con metodi differenti - ed anche opposti - si possono raggiungere obiettivi similari. Popper afferma che l'avvenire è aperto; la ricerca non ha fine e la conoscenza non si esaurisce. Milton Friedman integra il concetto, difendendo il diritto degli individui alle loro libere scelte. Con quasi novant'anni, il saggio giunge a noi negli anni '60 mentre balliamo il Walzer: due giri a sinistra e mezzo a destra; una lezione per l'endemico provincialismo nostrano ostinato indovino del futuro: le obsolete dottrine di Keynes fissano ipoteche sul merito contemporaneo, onerando i posteri dei costi di errori attuali. La storia mostra la crisi degli anni '30; l'epilogo di politiche che stimolano la speculazione ed il collasso economico. L'affermazione è dello stesso Friedman che ne ha i titoli. Come con la Repubblica di Venezia superata dall'innovazione di nuove potenze, il fenomeno si ripete; e non solo nell'America di questi ultimi anni, ma anche se, non soprattutto, da noi: l'esperienza di ridurre la libertà all'iniziativa privata, oltre ad inibire innovazione, ricerca e sviluppo, lede i meriti e compromette il presente dell'Europea burocratica.
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