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Anno edizione: 2018
Anno edizione: 2022
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Una tragedia del nostro tempo narrata da un grande scrittore.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Avevo visto il film, che mi aveva lasciato di sasso e commosso perchè non conoscevo l'esito tragico della spedizione del 1996. Ho comprato il libro per approfondire la vicenda e, da questo specifico punto di vista, sono rimasto soddisfatto, anche se permane la commozione: a mio parere scritto molto bene.
Bello!
Bellissima storia drammatica, mi ha preso tantissimo, sin dal primo momento. consigliatissimo
Recensioni
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recensione di Camanni, E., L'Indice 1998, n. 5
Si colgono due ragioni dietro il successo americano di "Into Thin Air" di Jon Krakauer: la diffusa notorietà dell'argomento trattato (una tragedia entrata in tutte le case attraverso le televisione) e la risonanza della montagna, l'Everest, che per il grande pubblico è sinonimo di primato, mito, avventura. L'Everest (e non l'Himalaya) è il terzo polo della Terra. Eppure la stessa storia e la stessa montagna non avrebbero mai raggiunto la cima delle classifiche con oltre mezzo milione di copie vendute se Jon Krakauer, inviato di "Outside", non si fosse trovato sul luogo della tragedia e se a caldo, ma con sufficiente distacco emotivo, non avesse rielaborato e raccontato l'epopea di Hal, Fischer e dei loro ricchi clienti sorpresi dalla tormenta sulla cuspide dell'Everest. Ci voleva l'uomo giusto al posto giusto, e nel momento cruciale.
Krakauer ha un passato alpinistico di tutto rispetto, con imprese dall'Alaska alla Patagonia e con un tentativo alla parete nord dell'Eiger. Verso i trent'anni ha cominciato a scrivere, e dieci anni dopo, nel 1994, ha raggiunto il successo con "Nelle terre estreme", il libro che racconta la misteriosa storia di un giovane sognatore scomparso nelle foreste del Nordamerica. Da allora è un autore riverito e corteggiato, collabora con i grandi "magazines" americani come "National Geographic" e sceglie le sue avventure anche in funzione delle suggestioni narrative. Nella primavera del 1996 è stato invitato da "Outside" a unirsi a una spedizione commerciale diretta all'Everest, per realizzare un servizio sulla proliferazione delle scalate himalayane a pagamento. Era la logica coniugazione di due passioni, la scrittura e l'alpinismo, e Krakauer ha accettato.
Dopo una complessa fase preliminare dedicata all'avvicinamento, all'acclimatazione e soprattutto al coordinamento delle decine e decine di alpinisti impegnati sulla montagna, il 10 maggio ha raggiunto la vetta con i suoi compagni professionisti e dilettanti divisi in due macchinose organizzazioni commerciali, ma nel primo pomeriggio un'improvvisa perturbazione ha inchiodato gli alpinisti sulla montagna e li ha costretti a un disperato bivacco. Krakauer ha fatto in tempo a salvarsi nelle tende del Colle Sud, ma nove alpinisti, compresi i due capispedizione, sono rimasti per sempre tra i ghiacci del Sagarmatha, la Dea del Cielo.
"Aria sottile" è un libro sulla montagna, ma non è un libro di montagna. Nel genere della letteratura alpinistica si distingue nettamente perché unisce la competenza dell'alpinista alla "laicità" dell'inviato, e il giornalista si impone, quasi con violenza, di non cadere nella rete delle reticenze alpinistiche, degli ammiccamenti di maniera, della retorica da sacrestia. Questa è un'eccezione per la sottocultura alpinistica, quasi sempre segnata da un vizio di forma che soffoca il racconto in una tacita omertà. Il coinvolgimento etico e psicologico degli alpinisti è talmente forte che ogni deviazione dalla via canonica appare di solito come un azzardo iconoclasta, e chi scrive di montagna, più missionario che testimone, più moralista che narratore, è così preso dall'esaltazione e dalla volontà di salvaguardare la propria esperienza da scordarsi, semplicemente, di raccontarla.
Krakauer invece racconta ogni cosa, senza tralasciare nulla, e lo fa in modo diretto e disincantato, rivolgendosi a tutti, indifferentemente, senza scivolare mai dal ruolo del testimone a quello del protagonista. Nell'introduzione confessa: "Speravo di ottenere un risultato positivo mettendo a nudo la mia anima subito dopo la sciagura, ancora in preda al tumulto delle passioni. Volevo che il mio resoconto avesse un tono crudo e spietato di onestà, che forse correva il rischio di sbiadire col passare del tempo e con l'attutirsi della sofferenza". Ma nonostante l'urgenza di scrivere, in un esercizio liberatorio teso a sgravare la coscienza dai sensi di colpa, Krakauer ha imbastito un libro ricco e complesso, che rivela il dramma nelle prime pagine e poi ricostruisce la storia con il ritmo dell'inchiesta: il severo ambiente dell'Everest, i multiformi caratteri dei personaggi, il faticoso avvicinamento, la scalata, le paure, i retroscena, il prima e il dopo della tragedia, in un progressivo gioco di rivelazioni che avvolgono il lettore nel turbinoso incalzare degli eventi.
Le prime righe cancellano subito ogni tentazione trionfalistica: "A cavalcioni del tetto del mondo, con un piede in Cina e l'altro in Nepal, ripulii la maschera dell'ossigeno dal ghiaccio che vi si era condensato sopra e, sollevando una spalla per riparami dal vento, abbassai lo sguardo inebetito sull'immensa distesa del Tibet... Avevo fantasticato tanto, per mesi e mesi, su quel momento e sull'onda di emozioni che lo avrebbe accompagnato; e ora che finalmente ero lì, in piedi sulla cima del monte Everest, semplicemente non riuscivo a radunare energie sufficienti per concentrami". Poi lo sguardo si allarga sull'immenso scenario himalayano, sulla storia infinita di sacrifici e passioni che portarono sull'Everest il primo uomo, nel 1953, e ancora sulle dinamiche della spedizione commerciale che prende forma nelle agenzie americane e neozelandesi ma che si rivela, in tutte le sue contraddizioni, soltanto sotto i paurosi seracchi della Cascata di ghiaccio, l'Ice Fall.
Fino a dieci anni fa l'Everest era una montagna per pochi, venerata dai tibetani come la Madre del mondo, scalata da pesanti spedizioni nazionali (gli italiani salirono con la spedizione Monzino, nel 1973) e poi affrontato in stile leggero dai fuoriclasse dell'alpinismo, tra cui Messner e Habeler, che raggiunsero per primi la vetta senza ossigeno. Con gli anni novanta si è fatta strada l'idea che anche la via normale dell'Everest, relativamente facile in condizioni di tempo ideale, potesse essere "offerta" a clienti di discreta esperienza alpinistica, dotati di buone tasche, di molta ambizione e di un'innegabile propensione alla sofferenza: "Allora, avete sete di avventure? Forse sognate di salire in cima a una montagna altissima? La Adventure Consultants è l'agenzia che fa per voi. Specializzati negli aspetti pratici della realizzazione dei sogni, collaboriamo per farvi raggiungere la vostra meta. Non vi trascineremo di peso, dovrete lavorare sodo, ma vi garantiamo la sicurezza e il successo".
Promesse da mercante, perché sull'Everest nessuno può garantire la sicurezza e il successo. Sull'Everest si può pianificare tutto, dalle pulsazioni del cuore allo spessore dei teli spaziali delle tende, ma di fronte a una tempesta ognuno è nudo e solo come nel giorno del giudizio. Se non sei in grado di tornare con le tue forze non c'è alpinista che possa portarti giù, o elicottero che ti venga a prendere, o aggeggio elettronico che ti avvicini fisicamente al mondo degli uomini. Il capospedizione neozelandese Rob Hall ha telefonato a casa dalla spalla dell'Everest, in mezzo alla tempesta: "Ciao tesoro. Spero che tu sia comoda in un bel letto caldo. Come va?". Non c'era più speranza per Rob. La signora Hall parlava con un condannato.
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