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Ci sono libri bellissimi e poi ci sono dei libri che sono qualcosa di più, dei veri capolavori. Questo libro ci porta in mondi completamente diversi raccontandoci persone, culture, posti e tradizioni in maniera così realistica che si viene assolutamente rapiti. E l'autore conosce anche tutti i trucchi dei grandi narratori: l'ironia, la suspence, l'avventura e i sentimenti. Un coro a più voci che a volte è difficile da seguire anche a causa dell'uso di numerosi termini non tradotti e non contenuti anche nel glossario. Ma l'avventura di leggere questo libro ripaga di tutto e porta il lettore in una dimensione, un livello "di saggezza" che solo i libri orientali sanno dare
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In un mondo a corto di nuove Mille e una notte, Iljia Trojanow racconta, nelsuo primo romanzo pubblicato in Italia, la vita del loro traduttore più infedele: quel Richard Burton (1821-1890), felice incrocio di spia, antropologo ed esploratore, lodato da Jorge Luis Borges proprio per le sue invenzioni. Non è del resto difficile trovare delle analogie tra la vita spericolata di Burton e le traversie del suo giovane biografo: nato a Sofia nel 1965, e poi dépaisée, secondo la definizione di Tzvetan Todorov, prima in Germania e quindi in Africa e in India, Trojanow ha descritto lo spirito dei luoghi in cui ha vissuto attraverso un'alacre attività di romanziere, editore e reporter.
Il collezionista di mondi descrive tre viaggi di Burton in India, Medioriente e Africa orientale. Giunto a Bombay come ufficiale britannico, è presto irretito dalla saggezza indiana, al contempo sapienziale e putrescente, raffigurata da Trojanow nel personaggio della cortigiana Kundalini, maestra come Sherazade nell'arte sensuale della digressione. Dopo aver vissuto tra i musulmani del Sindh, si sposta quindi in Egitto, da dove, sotto mentite spoglie, compie l'hajj nei luoghi sacri della Mecca vietati agli occidentali. In Africa orientale, a caccia delle sorgenti del Nilo, si imbatte infine nel lago Tanganika, facendosi però soffiare la scoperta dal compagno di viaggio John H. Speke.
Se da sempre, come ha notato François Hartog, l'esplorazione è lo specchio etnocentrico in cui la civiltà europea guarda se stessa, a rendere importante Burton è viceversa il desiderio di calarsi nella mentalità dei luoghi che attraversa, studiandone le lingue e i costumi, anche sessuali. Mentitore poliglotta e scrittore fecondo, egli demistifica gli stereotipi dell'orientalismo vittoriano descritti da Edward Said e pensa alla dialettica fra tradizione e ibridazione come a una falsa opposizione, poiché ogni tradizione è frutto di ibridazioni più antiche. Burton svolge cioè, in archeologia, quella funzione di mediazione evanescente su cui, secondo Frederic Jameson, si misura il valore della scrittura di viaggio. È per questo che Trojanow racconta ciascun episodio attraverso due voci (da una parte, il punto di vista di Burton; dall'altra, un coro di personaggi autoctoni), inscrivendo il romanzo nella tradizione polifonica della letteratura come menzogna: "Questa è la vera coscienziosità, dice uno dei suoi narratori, falsificare la storia in funzione della verità".
Seguire le orme di un viaggiatore del passato permette a Trojanow di superare la questione della fin des voyages come se non esistesse; egli però non si sottrae dal riflettere sulla situazione in cui versa oggi la letteratura di viaggio. Nello scherzo con cui Speke chiede a Burton "Che ci fai qui?", nel senso di "Che cos'hai di nuovo da scrivere?", c'è infatti la domanda obliqua con cui, da Bruce Chatwin in avanti, i viaggiatori declinano il tema dell'identità. Registro delle osservazioni raccolte nell'arco di una vita, la scrittura è l'unica traccia dell'esistenza pulviscolare del "collezionista", che finisce per invertire il rapporto ontologico tra ciò che ha vissuto e ciò che ha conservato sulla pagina. L'angoscia di Burton, che teme di aver perso se stesso quando smarrisce alcuni dei suoi taccuini, indica però anche il piacere cui Trojanow non vuole rinunciare: quello di raccontare l'avventura. La complicità che egli instaura con il suo personaggio è infatti la stessa che, nel primo dei controcanti autoctoni, c'è tra il servitore di Burton che snocciola i suoi ricordi e lo scrivano che li trasforma in racconto: "Abbiamo fatto della strada assieme. Questo conta molto".
Luigi Marfé
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