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In queste cinquanta paginette di assoluta tensione spirituale, e di arduo cerebralismo, Yves Bonnefoy coniuga, come nella sua più alta poesia, profondità meditativa e ispirata liricità. Per confessare al lettore, quasi in conclusione del saggio, la sua incapacità di definire in che modo poesia e musica siano e siano state in grado di influenzarsi reciprocamente, e beneficamente, penetrandosi e trasfondendosi una nell'altra (poesia in musica e musica in poesia): "A queste domande, non sono in grado di rispondere. Mi mancano la pratica e, anche, l'esperienza". Ma con assoluta modestia e insieme assoluta temerarietà, il grande poeta regala al lettore le sue ipotesi e le sue riflessioni sull'argomento, con la profondità delle illuminazioni che non cercano giustificazioni teoriche, ma si propongono alla condivisione di un sentire emotivo con più consistenza reale di qualsiasi tesi intellettuale. Ecco quindi qualche definizione di poesia: "la poesia è un'offerta; si prefigge il compito di conservare nelle parole l'intuizione che essa ha vissuto nel loro suono"; "il risveglio alla poesia è sempre inquietudine, tormento...epifania di quell'indiviso che si nasconde sotto il linguaggio"; "la poesia è riconoscimento dell'altro in quanto tale...desiderio di far rientrare il bene dell'oltre-concettuale in quella sua patria che è il luogo sociale"; "la poesia non ha a che fare con il dire ma con l'essere". E la musica? "E' la possibilità di prestare attenzione all'oltre-linguaggio...è illimitata, ha aspetti diversi, può essere molteplice e non una, un continente..." C'è quindi la musica orientale, indiana in particolare, che è immersione nel suono puro, ascolto mistico di "un momento vissuto in prossimità dell'impenetrato". E c'è la musica occidentale, greca e poi cristiana, che è analisi di una forma e di una mediazione "nel mondo edificato della concettualizzazione". Ma insieme, musica e poesia, suono e parola, sono dono e legame, "ricerca di una verità condivisa".
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