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Degno seguito di Arrivederci amore ciao, Carlotto mantiene altissimo il ritmo anche in questo seguito, tanto che si fatica a staccarsi dalla lettura. Il personaggio di Giorgio Pellegrini non è indubbiamente uno di quelli da presentare alle mamme, però lo scrittore, proprio attraverso il suo protagonista, riesce a fornire un bel ritratto del Veneto e più in generale della politica corrotta italiana.
Un bel noir che si muove negli affari loschi della mafia e della corruzione dei rappresentanti politici....e
Giorgio Pellegrini e' sempre piu' odioso, cinico, adeguato ai tempi. La ndrangheta si sposta dalla Lombardia al Veneto, l'avvocato fa carriera, moglie e concubine sono vittime di violenze e sadismi perfezionati. E' l'evoluzione del libro precedente, scorre veloce e arriva ad un finale improbabile. In sostanza aggiunge poco (e peggio) ai libri precedenti di Carlotto. Non voglio dire che sia un operazione commerciale, ma sembra tanto uno di quegli aggiornamenti di sistema operativo di cui non si comprende la necessita'.
Recensioni
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Prima o poi leggendo i romanzi bisogna fare i conti con la morale o roba del genere. Si ha un bel guardare con distaccata superiorità di posteri modernizzati alle critiche che angustiarono il povero Flaubert per la sua adultera Madame Bovary; o sorridere di fronte agli scrupoli di Manzoni che, in una nota al suo Fermo e Lucia, si scusava per aver parlato poco di amore in un romanzo che ha per protagonisti due fidanzati, spiegando di non voler turbare qualche zitella poco avvenente e intenta a fare di necessità virtù o qualche prete che ha ancora qualche anno prima di essere dichiarato sentimentalmente fuori pericolo. Con il romanzo, la questione della morale finisce sempre per venir fuori.
Potrebbe accadere anche con l'ultimo Carlotto di Alla fine di un giorno noioso, storia di un criminale senza alcuna morale e tutta cattiveria, schifosamente maschilista e consumista, che deve fare i conti con altri criminali non meno sporchi e cattivi di lui, e se la cava grazie alla sua lucida e spietata violenza. È un classico noir alla Carlotto: ambientazione Nord-Est leghista-pidiellino; personaggi politici nuovi addirittura peggiori dei vecchi; un avvocato della provincia veneta che si dà alla politica nel partito del Potente e cura tanto gli interessi quanto le avvenenti segretarie, avido e spregiudicato, che ha imparato quasi del tutto la lezione di Giuliano Ferrara, secondo cui lo schifo paga se non è nascosto: il tutto nel linguaggio asciutto, freddo, veloce dell'eccellente scrittore veneto.
Ma un problema si pone. Questo giallo è la storia di una guerra tra esseri immondi e votati al male come sola deontologia professionale. Qualcuno chiederà: ebbè? Non siamo forse di fronte a un romanzo, un'opera d'arte per principio extramorale ecc.? Dopo le pruderie di primo Novecento per ipersensibilità sessuale, non si vorrà, nel primo Duemila, farne per suscettibilità moralista o politicamente corretta? Eppure, eppure. Possibile che ci siano solo loro: il sordido parlamentare avvocato, che ti immagini vendere con un ghigno la favola del Leader che frequenta minorenni avvenenti per redimerle; l'ex terrorista diventato criminale e ora passato alla ristorazione; i gangster professionali dell'ndrangheta? In questo mondo di orrore, violenza, denaro, non solo non si salva nessuno, ma il peggiore di tutti, il protagonista Pellegrini, personaggio già noto ai lettori di Carlotto, facendo da guida al lettore, rischia anche di essergli simpatico e persino degno di ammirazione. In effetti, ammazzare freddamente, dopo averla fatta sfregiare, un'incolpevole prostituta russa; commerciare in donne dell'Est da sfruttare per un po' e poi vendere a dei malesi che ne fanno scempio; uccidere a sangue freddo il killer da lui stesso ingaggiato; accoppare a bottigliate un antipatico portaborse della criminalità organizzata ecc., come lo fa lui non lo fa nessuno. Il suo è un "crimine creativo". Se poi vedeste come sa essere dispotico e maschilista con le sue donne (dalla moglie, cui non concede neppure di scegliersi un profumo o un vestito, all'amante, da cui si fa chiamare Re di cuori), potreste persino invidiarlo. Pensate che, quando deve concentrarsi, mette la sua avvenente quanto plagiata signora nuda su una cyclette, e la fa pedalare fin che non cade svenuta a terra
Ecco il protagonista di Alla fine di un giorno noioso.
Ora, il romanzo è raccontato dal suo punto di vista, la prospettiva da cui il lettore guarda è la sua. Pellegrini è pura immondizia; ma siccome se la deve vedere con un'immondizia di provenienza politica e con altra prodotta dalla criminalità organizzata, lui, che è un indipendente, che ammazza in proprio, non fa lo schifo che dovrebbe. In fondo, un piccolo ma vincente imprenditore del crimine non è meglio della grande industria politico-malavitosa nazionale? E allora? Va condannato per questo Alla fine di un giorno noioso? No. Non voglio dire che Carlotto doveva prendere le distanze dal suo protagonista, con qualcosa di meglio dello stucchevole giochetto di ripetere il titolo del libro a ogni inizio di capitolo; o che doveva inventarsi almeno un comprimario un po' meno repellente, per consentire al lettore una postazione idonea a far distinguere quel poco che ancora si può il bene (se c'è) dal male. La sensazione che in questo universo solo malvagio, uno dei malvagi possa apparire migliore degli altri non perché meno, ma perché più malvagio di loro; il sospetto che questo romanzo giochi più sull'attrazione del male che sulla sua ripugnanza; il dubbio che l'eroe negativo diventi più eroe che negativo, ebbene, danno un po' di imbarazzo. Si capisce che l'operazione è commercialmente vincente, come l'orrore in un film horror. Il delitto paga. Ma se letterariamente, data la professionalità dell'autore, l'opera tiene, non dirò moralmente, ma almeno politicamente traballa. Se l'unico oppositore del regime depravato e colluso con la criminalità è un bandito "creativo", che persegue rigorosamente solo e soltanto i suoi interessi, non meno sporchi e bassi, e si rivale delle momentanee sconfitte sui più deboli di lui (le donne), un disagio è lecito; ditelo pure puritano e moralistico. Vittorio Coletti
Quando, nel 2001, Massimo Carlotto diede alle stampe il suo romanzo più famoso Arrivederci amore, ciao i lettori vennero colti improvvisamente da una certa morbosa curiosità legata al passato ombroso dell’autore. La vicenda vedeva come protagonista un giovane ex terrorista che negli anni Settanta era stato incriminato per banda armata. Rientrato nella società dopo qualche anno di carcere si ritrova in un Nordest malavitoso, tra personaggi senza scrupoli, dove la voglia di ripulire la sua immagine si scontra con una realtà in cui l’unico sistema per ottenere qualcosa è la violenza e la prevaricazione. Il suo passato da terrorista gli costerà carissimo, perché quando la polizia rinverrà il cadavere di Roberta, la sua fidanzata, sarà lui ad essere ancora una volta incriminato. È a questo punto che la vicenda del protagonista si mescola con la biografia di Massimo Carlotto, anche lui accusato di aver ucciso la sua fidanzata, anche lui latitante per qualche anno in Sud America e destinato a fare i conti per tutta la vita con le pessime conoscenze che ha fatto in carcere, nel mondo criminale e anche tra i personaggi delle istituzioni.
Nel sequel di quel fortunato romanzo, Carlotto torna nei panni di Giorgio Pellegrini. Lo avevamo lasciato mano nella mano con Martina, la donna in grado di riportarlo alla vita tranquilla dopo la morte di Roberta, e scampato al carcere grazie all’intercessione dell’avvocato Sante Brianese. Lo ritroviamo sposato e sempre legatissimo a Martina, proprietario di un locale, la Nena, che si rivela subito una copertura dorata per un covo di malaffare. È opera dell’avvocato Brianese, divenuto nel frattempo onorevole, sia l’attività di scouting di Pellegrini nei confronti di giovani escort straniere, sia il suo ruolo di raccordo tra i “benefits” dei corruttori e la soddisfazione dei bisogni dei corrotti, che si incontrano alla Nena per incrociare le loro domande e offerte.
Torniamo quindi a immergerci nel Nordest sempre caro all’autore, dove capitani d’industria in crisi delocalizzano in Romania ed ex operai diventati piccoli imprenditori cercano di rimanere a galla con ogni mezzo. Naturalmente a reperire il capitale ci pensano le cosche italiane e straniere, che hanno sempre bisogno di ripulire denaro sporco, ma ripulire investendo in attività produttive ha un costo (circa il 30%), che gli appalti pubblici non hanno. È a questo punto che fa il suo ingresso il vero grande protagonista di questo romanzo, quello che Carlotto chiama “il crimine creativo”: la politica.
Attraverso la corruzione la malavita si impossessa del territorio e attraverso le escort la corruzione diventa una prassi sociale. Si tratta in fondo di uno scambio come un altro: una volta c’era solo la tangente, adesso la tangente è resa più incisiva dalla presenza di giovani donne compiacenti. Nulla di strano, lo fanno tutti, e poco importa se ancora una volta la vita di Giorgio Pellegrini precipiterà nel baratro della violenza cieca e ingiustificata.
Un noir puro, senza sbavature, un affondo alla parte oscura della società veneta, ma allo stesso tempo l’autopsia di un mondo criminale che sta subendo una vera e propria mutazione antropologica. E alla fine della lettura, con un certo sgomento, ci si chiede ancora una volta se esista davvero un confine tra fiction e realtà.
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