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Anno edizione: 2009
Anno edizione: 2009
Anno edizione: 2010
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Niente di che, si legge e si dimentica abbastanza in fretta.
No, non mi è piaciuto neppure questo libro come del resto gli altri della stessa scrittrice...Pessimo!
Questo libro mi fu regalato tempo fa e lo lasciai dopo poche pagine perchè lo trovai noioso. Stanotte l'ho ripreso perchè sapevo che era arrivato il momento di leggerlo, ne sentivo il bisogno. Infatti non mi sono sbagliata: l'ho letto tutto d'un fiato in poche ore!! Credo di essere avvantaggiata nel poter assaporare le atmosfere descrite perchè conosco Cagliari, la città che fa da sfondo a questa storia. Ritengo che i personaggi siano un'ottima compagnia per le persone insicure che hanno continuamente dubbi e paranoie, come me!
Recensioni
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Milena Agus ha un dono che si potrebbe definire "strabismo dei sentimenti". Sa raccontare l'infelicità come se fosse una forma di felicità e disegnare nella felicità le marezzature impercettibili dell'angoscia. Riesce a guardare alle tempeste esistenziali con uno sguardo serenamente obliquo, per poi affondare la lama della crudeltà nei punti del racconto apparentemente più quieti, convinta com'è che "la vita è tutto un miscuglio di male e bene e una volta ha la meglio l'uno e una volta l'altro e così all'infinito". E, come si può capire da queste poche righe, non ha paura delle banalità che rendono la vita, se non tollerabile, almeno suscettibile di essere raccontata. Perché la nota dominante di questo suo sapiente chiaroscuro emotivo è l'ironia. Un'ironia di volta in volta candida, tenera, tagliente, che fa lievitare il quotidiano addomesticandolo e al tempo stesso custodendone intatto il mistero.
Nel suo ultimo romanzo, La contessa di ricotta, Agus scoperchia la facciata di un vecchio palazzo nobiliare nel quartiere di Castello, a Cagliari, e come in una Vita: istruzioni per l'uso in miniatura ricompone per frammenti il puzzle delle vicende incrociate di tre sorelle, un tempo proprietarie dell'intero stabile e adesso, finiti i fasti di famiglia, ridotte in altrettanti appartamenti. Dall'alto in basso e dalla più vecchia alla minore: al terzo piano, interno otto, Noemi trascina una vita solitaria, avara e senza scosse, il cui unico brivido è il sogno di riuscire un giorno a riconquistare l'antica ricchezza. Fa il giudice e legge il mondo secondo quella che lei stessa definisce la "visione sistemica", almeno fino a quando l'amore per Elias, un indomabile pastore refrattario ai legami, sovverte ogni regola e ragione. Al piano nobile, l'interno tre ribolle della sensualità di Maddalena e Salvatore, che mentre sperimentano tutte le variazioni sul tema dell'eros, si struggono per il mancato arrivo di un figlio.
Infine, in un vecchio magazzino al piano terra, il piccolo Carlino e sua madre, la "contessa di ricotta" che dà il titolo al libro e che ne costituisce infatti l'invisibile baricentro. Un po' principe Myskin un po' Charlot, la contessa compensa la propria inadeguatezza alla vita pratica con una bontà cristallina, pur sapendo che "neppure se uno prova a essere buonissimo, non lo è mai abbastanza per meritare di essere felice". Per questo ogni estate si allena a morire, provando e riprovando una minuziosa tecnica di annegamento in mare, e nel frattempo intrattiene con il vicino conversazioni amorosamente allusive da un lato all'altro del giardino. La "visione sistemica" lei non ce l'ha. Coltiva semmai una forma di sapienza squisitamente femminile e del tutto asistematica, ereditata dalla madre e non ignota alle altre due sorelle: di fronte a un dolore intollerabile, buttarsi sul letto rannicchiate a palla, fino al momento in cui una voce familiare o il taglio di luce che filtra da una persiana facciano emergere un piede da quel mucchio di stracci.
Tre sorelle, una famiglia decaduta, il sogno e il rimpianto dell'amore: le irresistibili reminiscenze cechoviane che sembrano sprigionare dalla Contessa di ricotta non sono, però, che suggestioni vaghe. Le corde di Milena Agus sono troppo sensibili all'humour, il suo paesaggio d'elezione troppo prepotente, il suo passo narrativo troppo svelto per farla indugiare a lungo nell'adagio della malinconia Se Cechov c'è, è come passato attraverso un bagno di ironia dove si avverte semmai, di tanto in tanto, l'inconfondibile accento della Ginzburg matura. E, in fondo, queste tre sorelle non fanno altro che rimandarsi da un appartamento all'altro le voci e le parole d'ordine di un lessico familiare fatto di incomprensioni e memorie condivise, sfuriate e tenerezze, modulato su una sintassi narrativa apparentemente svagata, che procede per affondi e ritirate fulminee.
Proprio come la contessa di ricotta, infatti, neanche Agus ha la visione sistemica. Non ama "mettere le cose a posto, dargli un ordine, formare le catene delle cause e delle conseguenze". Crede di più in tutto quello che resta fuori e che mette a repentaglio la tenuta del "sistema mondo": i timidi, gli inadeguati, i colpi a tradimento della sorte, gli agguati dell'amore. Le collezioni incomplete. E così racconta: con una sorta di spietata saggezza infantile che non la fa arretrare di fronte a niente, ma neanche sostarvi con compiacimento, prendendo e lasciando i propri personaggi fino a irretirli in una trina di eventi che sfiora l'inconcludenza, ma che trae forza proprio da questo non concludere, sfiorando il loro cuore di tenebra per riconsegnarli subito alla loro vitalistica eccentricità, che li tormenta e li salva.
Beatrice Manetti
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