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Libro che purtroppo non mi ha preso e di cui ho avuto delle serie difficoltà a terminarlo.
Recensioni
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"Nessuno dovrebbe scrivere un'autobiografia prima che la sua vita abbia avuto termine."
Un affresco triste creato da sensazioni, sentimenti radicati nell'animo, difficoltà di inserimento nella vita. La storia di un "male di vivere" ambientata nella fredda Islanda dei nostri giorni, inframmezzata da considerazioni sulla realtà e da immagini di fantasia, magistralmente descritte e ispirate all'esperienza del fratello dell'autore, malato di schizofrenia e morto suicida all'età di quarantatré anni. Un romanzo sulla follia e sulla difficoltà di comunicare, ma anche un'analisi critica sul significato che universalmente viene dato al termine pazzia, sul modo in cui questa viene catalogata e in cui sono classificati i malati.
Il racconto è l'autobiografia immaginaria di una persona che si è congedata "dalla casa della solitudine e da questo mondo terreno" e che tenta di tirare le fila della propria esistenza con il distacco che questa posizione gli consente di avere. Nato lo stesso giorno in cui l'Islanda aderisce all'Alleanza atlantica, in una nazione in piena rivolta, tra frastuono, voci, proteste generali, il protagonista, Páll, vede proprio in questa data fondamentale per la sua nazione (ma anche uno dei più infausti momenti a giudizio di molti, giorno di confusione e di incertezze...) i prodromi di quella che sarà poi la sua personalità futura: "il mondo divenne all'improvviso come l'immagine rimpicciolita di un malato di mente: folle, scisso in due. L'immagine del mondo: un delirio cronico." Un sogno premonitore della madre (che immagina uno dei suoi figli perdere la ragione e cadere) e la figura di un veggente che, chinatosi sulla culla, asserisce "su questo bambino vegliano gli angeli", confermano che il destino di Páll non sarà facile. La narrazione prosegue tra fatti pubblici e privati, tra vicende familiari e personali, sino al ricovero ospedaliero (dove incontra nuovi compagni di "viaggio"), alla successiva dimissione dalla clinica, alla degenerazione violenta della malattia.
Il mondo che cambia all'esterno, l'occidente che si trasforma e si allarga trascinando con sé anche la sua isola, la vita politica, i fatti sociali, non lo toccano particolarmente: "Ricordo quando è caduto il muro di Berlino non perché avessi la sensazione che quella caduta rivestisse una qualche importanza o mi riguardasse, ma perché pensai: Quel muro può cadere, ma i muri tra me e il mondo, quelli non cadranno mai; quelli sono saldi e incrollabili, anche se nessuno può vederli a occhio nudo." E così resterà fino alla morte.
A cura di Wuz.it
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