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Quello che non si capisce di questo libro - una raccolta di saggi ispirata dal postmoderno (Barthes, Deleuze, Foucault, Derrida sono i filosofi più citati) - è il criterio con cui è stato fatto. Certo, ai postmoderni di norme e criteri non importa un granché: roba da trascendentalisti e da metafisici. Ma poiché si suddivide la cultura pop in anime, cinema, graphic novel, pop music, romanzo e tv, si sta comunque seguendo un canone, se non un criterio; e bisognerebbe almeno dire come sono stati selezionati i materiali riportati nel canone. Oppure dobbiamo pensare che gli amici pubblicano gli amici? Ad es., perché per la musica pop si sceglie solo "This is it" di Michael Jackson e per il romanzo solo "Romanzo criminale" di De Cataldo? Forse si può approvare la scelta eccentrica per l'ambito fumetti e animazione di Evangelion e Asterios Polyp, ma della pop tv sono davvero rappresentativi "Mad Men" e "The Kingdom"? e in che senso "300" e "Il Mucchio Selvaggio" rappresenterebbero l'esemplarità del pop cinema? Forse i saggi erano già confezionati, per qualche blog o conferenza... Ognuno poi rema per conto suo, in un esercizio plurimo di stile che sembra mirare a una sorta di manifesto, giustificato come "sporgenza del pensiero": "pop"- scrive uno degli autori, Tommaso Ariemma - non è solo abbreviazione di "popular", ma anche di qualcosa che scoppia, che sporge, che si manifesta ("Pop filosofia è allora, anche e soprattutto, una certa sporgenza delle idee, un certo uso creativo del pensiero volto a liberare le menti dalla loro clausura" (Ariemma, p. 195). Insomma, oggi per sbloccare la nostra clausura mentale non dobbiamo più leggere Freud o Nietzsche, ma le interpretazioni di Sex and The City. Mah.
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