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Questo libro di versi si situa nella corrente della produzione elegiaca, intimistica, assolutamente sentimentale, dedicata alle intermittenze del cuore e della memoria, al recupero del passato, alla nostalgia impalpabile per tutto ciò che si è perduto.La scrittura di Germani è infatti segnata da una perdita, da una ferita che si teme non rimarginabile: da trattare, quindi, con estrema delicatezza, con attenzione protettiva. Lo scenario che fa da sfondo a queste poesie è quello, urbano e indifferente, di una Milano impenetrabile, da percorrere a piedi o con i mezzi pubblici, cercando di ritrovare se stessi o un'eco solidale in qualche presenza umana: «Mi sono dimenticato / sul tram / e adesso non so / dove andrò». L'autore patisce un'assoluta e incomunicabile solitudine, rassegnato alla non speranza più che alla disperazione («Sarò alla vita / come un nome sbagliato»), metaforizzata in immagini negative di fulmini, buio, crolli improvvisi, incendi, frane. E lentamente si fa strada nel lettore l'intuizione che questo dolore rappreso sia dovuto a una mancanza incolmabile, a un lutto familiare mai del tutto esplicitato:«Di chi questo volto / assalito dall'ombra, / questo sguardo / d'abisso / fuggito dal mondo?», «Da troppo tempo siamo vivi / e lontani, da troppo / nomi perduti / in bocca alla notte». Una notte che ingoia presenze amate e non più recuperabili, rimpianti, dialoghi supposti che si riducono a monologhi amari, nel rincorrere «passi / quasi a mezz'aria, / senza più carne». Alle prime tre sezioni del volume, raccolte sotto il titolo "Dissolvenze", segue un "Poemetto delle verità presunte o degli osservatori osservati", in cui il poeta sembra cedere all'incubo dello sdoppiamento, del giudizio implacabile di un tribunale, in un crudele gioco degli specchi che lo vede artefice e vittima allo stesso tempo, accusatore e accusato, in un'atmosfera kafkiana di misteriosa persecuzione: «io spio loro / che spiano me», «mi nascondo sempre / eppure mi guardano».
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