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La ricostruzione storica lascia molto a desiderare, la storia è ambientata dopo il 2010, ma il contesto è quello di 7-8 anni prima. Si confondono i presidenti, nel senso che si attribuiscono a uno gli atti di un altro (la legge del "Punto Final" non è di Menem ma di Alfonsín, Menem fece l'amnistia). Abuelas e Madri di Plaza de Mayo spesso vengono sovrapposte come se fossero un'unica identità mentre hanno rapporti molto conflittuali. La descrizione di Buenos Aires è quella tipica di chi ci è stato due giorni e crede di aver capito tutto. La trama è macchinosa, soprattutto per il doppio scambio di neonati (non è uno spoiler, emerge quasi subito) che appare piuttosto improbabile anche in un romanzo. Al di là delle considerazioni estetiche, almeno l'autore avrebbe potuto documentarsi meglio
Scrittore francese dalla penna aspra, ispirata e poetica firma un poliziesco ("polar" per dirla alla francese) ma lo arricchisce di storia sulla feroce dittatura argentina tramite uno studio sui documenti d' archivio; ci consegna quindi un' opera completa, dove scorre parallelamente il romanzo e la verità sulle tragedie umane in quel sanguinoso periodo.
Ottimo noir; una cavalcata furiosa e violenta negli orrori della dittatura Argentina. Non lasscia fiato e sembra molto ben documentato
Recensioni
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Un primo capitolo agghiacciante. Un aereo sta volando sulla foce del Rio de la Plata. Argentina. Intuiamo quello che leggeremo: un ‘pacco’ che contiene un essere vivo ma stordito dal Pentotal viene scaraventato nel vuoto. Era la tecnica adottata durante la dittatura di Videla per sbarazzarsi delle persone scomode, dei cosiddetti sovversivi, per lo più giovani. Venivano prelevati di sorpresa, in casa, per strada, nei caffè, torturati in maniera spietata e disumana nelle carceri dell’ESMA e poi fatti sparire. Meglio che le famiglie non vedessero le condizioni dei corpi. Chi scompare non è mai esistito, chi può provare qualcosa?
Questo capitolo iniziale porta il numero 0, in realtà - è una premessa, una realtà imprescindibile per quello che accadrà nel romanzo “Mapuche” di Caryl Férey in cui si muovono due protagonisti che non potrebbero essere più differenti e sono però accomunati dallo stesso fine e da un passato che, pur nella sua diversità, è talmente doloroso da non poterne parlare. La giovanissima Jana è un’indiana mapuche, un gruppo etnico dell’Argentina occidentale e del Cile meridionale decimato dalle guerre contro i bianchi. Il corpo di Jana - una bellezza insolita che denuncia la sua origine ad una prima occhiata - ha un’anomalia: il fiorire del suo seno si è fermato quando ha assistito ad una tremenda scena di violenza sulla madre durante la sua infanzia. E lei riversa la sua furia in strane sculture fatte di ferro o con materiali riciclati. Anche Rubén Calderon è un superstite, anche lui, come Jana, insegue fantasmi di morti. Rubén è un sopravvissuto dell’Esma. Preso per strada quando aveva solo quindici anni insieme alla sorellina di dodici, è stato rimesso in libertà forse proprio come monito, perché raccontasse la sorte che toccava a chi si metteva contro il regime. La ribellione di Rubén è stata il suo non parlare. Suo padre e sua sorella sono morti in carcere, ma Rubén né mostra il corpo disseminato di cicatrici né, tantomeno, dice come se le sia procurate. Lo scopo di Rubén nella vita è diventato stanare i boia del regime e rintracciare i figli dei desaparecidos, quei cinquecento (non si sa il numero preciso) bambini partoriti nelle carceri e dati in adozione ai fedeli di Videla. Una sorta di Wiesenthal argentino.
C’è un filone giallo da seguire, in questo libro che è un’immensa tragedia noir. Un filone giallo che serve per portare insieme i due protagonisti, per far coincidere il loro desiderio di punire chi si è macchiato di indicibili colpe. Il cadavere di un travestito viene trovato nel porto della Boca. L’amico di questi - o l’amica, visto che si fa chiamare Paula - è anche l’amica più cara di Jana e, forse, ora si trova in pericolo. È per questo che Jana si rivolge a Rubén, che non sarebbe affatto interessato al caso, se non fosse che, in un qualche modo, si rivela collegato ad un’altra scomparsa, ad un altro cadavere, quello di Maria Victoria Campallo, figlia di un uomo d’affari importante anche nel settore politico. Perché mai Maria Victoria era andata a cercare il travestito? Perché aveva cercato anche di incontrare un noto giornalista?
“Mapuche” è un libro forte e terribile. Un libro pieno di violenza in cui è la violenza stessa degli aguzzini ad insegnare una risposta violenta alle vittime. Perché la passività non aiuta a sopravvivere. I ricordi di Rubén Calderon, dei giorni indistinguibili dalle notti passate nelle carceri dell’ESMA, fanno rabbrividire. Suo padre si era suicidato in prigione - e non perché non aveva più la forza di resistere alle torture, ma perché l’ultima prova a cui era stato sottoposto era fuori dall’umano. Anzi, neppure degli animali avrebbero fatto quello che hanno fatto gli aguzzini. Solo dei mostri sputati dalle fiamme dell’inferno. Dovrebbe avere pietà, Rubén, verso uomini capaci di tanto? E Jana, carica del bagaglio di soprusi inflitti alla sua gente, diventa un angelo vendicatore con il viso tinto col carbone, ritorna ad essere una selvaggia che scatena la sua furia: dopotutto non erano ancora considerati tale, i Mapuche?
A cura di Wuz.it
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