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Il libro si legge piacevolmente, fra provocazioni, memorie, nostalgie, sfacciataggine, autoironia, ardita filologia pasoliniana, semi-iniziazioni eleusine. La lettura di "Petrolio" rimane discutibile, forse riduttiva, ma interessante. Su tutto svetta la patetica figura della Pazza, grottesca e drammatica.
Un libro con dentro molti nomi di gran peso per nascondere la mancanza di peso del libro. Invece di letteratura, un espediente letterario per lettori (molto) ingenui.
Un libro che è un po' un romanzo, un po' un dossier a mio avviso però è soprattutto un ritratto ben riuscito di un grandissimo del pensiero contemporaneo cioe PPP = Pier Paolo Pasolini. L'autore spazia dalle descrizioni della sua esperienza al Fondo Pasolini, alle digressioni riguardanti "La Giaguara" ossia l'amica di sempre di PPP , Laura Betti(detta anche bonariamente "La Pazza") fino a narrare con minuzia e precisione dell'ultimo romanzo di Pasolini, Petrolio. L'alternarsi della varie storie sopra descritte non spiazza il lettore, anzi, a mio parere lo avvicina sempre di più a quello che era il modo di pensare e di agire dello scrittore friulano. Trevi mette al centro del suo romanzo proprio tutta la vena innovativa, profetica e anche tragica contenuta tra le pagine dell'ultimo romanzo di Pasolini, Petrolio. S'intuisce quello che è il fine di Trevi, cioè far capire ai suoi lettori che Pasolini abbattendo tutti i clichè degli anni '70, aveva ben intuito la fine che avrebbe potuto far(che puntualmente, sigh, si avverò)..ma non si tirò indietro, lasciandoci in dote un'eredità comportamentale,morale e letteraria difficile da eguagliare. Molto bello penso che avrebbe meritato lo Strega più di Piperno
Recensioni
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Finalista Premio Strega 2012.
P.P.P.: tre lettere come un monogramma, quasi un emoticon che somiglia molto a un triplice sberleffo.
Tre linguacce sequenziali che irridono chiunque, riferendosi al titolare di quelle iniziali, continui a lodarne ammirato le qualità divinatorie, e l’essere stato “il più scomodo degli intellettuali”.
Pier Paolo Pasolini, però, è irriducibile a santino, e non c’è forse modo peggiore di omaggiare l’attualità del suo pensiero che quello di provare ad imbalsamarlo in una definizione che ne sminuisca la ricchezza.
Nel lavoro del poeta friulano l’opera viva, proprio come quella che nel vocabolario dei marittimi descrive la parte della nave che sta sotto il pelo dell’acqua, è tutto ciò che sottende e sostiene un sistema di pensiero che bisogna studiare e frequentare con assiduità per poter comprendere.
Trevi, con questo suo bellissimo libro, prende le mosse da una passione intellettuale - quella per Pasolini - e compie una ricognizione in profondità sul tema della forma, che certo Pasolini aveva sviscerato declinandolo attraverso la sua versatilità: poeta, romanziere, saggista, cineasta e pittore, ogni ambito espressivo sembrava alla sua portata.
Qualcosa di scritto si presenta a noi sotto la ragione sociale di "romanzo", com'è la stessa copertina a ricordarci. Ma una volta aperto il libro e sfogliatane qualche pagina dovremmo cominciare a sentir puzza di bruciato: questo libro è un fluire mercuriale di forme - dal memoir al saggio - che sembra non vogliano assestarsi, così che il lettore non possa agevolmente etichettare quello che sta leggendo, pagina dopo pagina. Ecco il primo aggancio con l'oggetto della trattazione di Trevi. Che è un altro libro.
Tutto Qualcosa di scritto, infatti, è attraversato da una quarta “P”, embricata alle prime tre: abbagliante di una luce nerissima, quella lettera è l’iniziale di “Petrolio”, romanzo ultimo del poeta.
Ma “romanzo”, anche e soprattutto in questo caso, è davvero sigla inadeguata a dare conto della complessità straordinaria di un libro che somiglia forse più – sostiene Trevi – a una performance definitiva, a un tentativo di annullare ogni confine fra opera e vita, mettendo in scena con agghiacciante precisione la propria estinzione, e assieme a quella l’avvento di un mondo che più nessuna parola – fra quelle in nostro possesso – è capace di dire.
Il tentativo, per inciso, è riuscito come meglio non si sarebbe potuto sperare, e oggi possiamo dirlo a ragion veduta: sono passati quarant'anni dalla sua stesura e venti dalla prima pubblicazione, e ancora Petrolio rimane un lacerto inclassificabile, eppure capace nella sua incompiutezza, nella sua ostinata irriducibilità ad una forma conclusa in sé (e forse proprio grazie a questa prerogativa) di dirci moltissimo a proposito degli anni in cui fu partorito.“Petrolio”, come gran parte dell’opera di Pasolini, gode di una fama equivoca; nel senso proprio di una conoscenza che gli deriva dal fatto di non essere stato affatto compreso.
Se ne parla e se n’è parlato molto, ma ogni volta bagnando le polveri micidiali di cui è intriso quel meteorite del tardo novecento con le litanie annacquate del complotto.
Infatti, non sono le presunte rivelazioni sulla morte di Enrico Mattei, o il ritratto a tinte foschissime di Eugenio Cefis, suo comandante in seconda all’ENI e autentica eminenza grigia dietro molte trame occulte, a fare di “Petrolio” un libro pericoloso: è la sua stessa forma, inaudita e spiazzante, a distinguerlo dagli altri romanzi e renderlo un oggetto ancora in cerca di classificazione certa.
Palinsesto monstre di frammenti diversissimi ed eterogenei, Petrolio racconta una storia non facile da riassumere, ma all’interno della quale convergono tutti i temi e le ossessioni pasoliniane, portate a un livello estremo di rappresentazione.
Ma da cosa prende le mosse la scrittura di Trevi?
Trevi, nel 1994 passò un periodo presso il Fondo Pier Paolo Pasolini, nel tentativo di assemblare un libro che avrebbe contenuto le interviste rilasciate da P.P.P.
Grande inquisitrice e nume tutelare di quella istituzione era Laura Betti.
L’autore, nel ricordare i giorni e le sere passate a fare da antenna agli umori saturnini e biliosi dell’inteprete di “Teorema”, non indulge in ipocrite celebrazioni della “pazza” - come fin da subito la donna ci viene presentata - e il ritratto che ne esce è così intenso proprio perché sincero fino in fondo.
Il libro di interviste pasoliniane cui Trevi era chiamato a presiedere non vedrà mai la luce, ma il senso profondo di quell'incontro impossibile con il poeta sedimenterà e crescerà, continuerà a parlare all'autore nel corso degli anni e ne illuminerà l'itinerario intellettuale; fino ad arrivare ad assumere la forma di un libro, che è il libro che abbiamo fra le mani, e che non è più che una delle forme possibili in cui quell'incontro avrebbe potuto cristallizzarsi, ma è certamente quella più giusta: è qualcosa di scritto.
Emanuele Trevi chiude la cronaca raccontando di un suo viaggio in Grecia; viaggio nel corso del quale si è recato a Eleusi per partecipare della vibrazione di questo posto incredibile, che nell’antichità fu teatro delle iniziazioni misteriche.
A cura di Wuz.it
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