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Il pensiero della povertà riporta spesso alla mente le immagini della favelas americane o delle baraccopoli africane, dove la gente vive ammassata in carcasse di lamiere nella miseria più assoluta. Nessuno però fa mai menzione della desolazione diffusa nei villaggi della Turchia degli anni Cinquanta, dove la persone sopravvivono a stento improvvisando il mestiere di contadino o lavorando duramente nelle miniere, mosse dall’unico desiderio di poter un giorno scappare e riscattarsi da quell’indigenza che poco le differenzia dalle bestie. Nei cuori induriti non v’è spazio per la fede, Allah esiste ma si tiene ben lontano dai villaggi polverosi abitati dai poveracci. Per resistere allora è necessario aggrapparsi ad altro: combattere per una giusta causa in cambio di una ricompensa eterna sembra la soluzione migliore per aspirare a una nuova vita, per ovviare alla fame non esiste altra alternativa che annientare i nemici del paese e appoggiare il progetto di espansione del governo turco.
A dipingerci lo scenario di desolazione in cui è nato e cresciuto è lo stesso Ali Agca. Da quel 13 maggio 1981 in cui appena ventitreenne sparò a Giovanni Paolo II sono passati trent’anni, il tempo ha dipinto sul volto del ragazzino i tratti dell’uomo adulto, e l’odio ha lasciato spazio alla riflessione, al lento affiorare della verità. Così Agca ha deciso di ripercorrere a ritroso le tappe della sua esistenza, di raccontare per iscritto le due facce della sua vita: dall’infanzia trascorsa nel villaggio di Yesiltepe all’incontro con i Lupi grigi, il movimento terrorista turco di cui divenne membro; dall’incontro col “grande mandante” dell’attentato a Papa Wojtyla ai depistaggi e le false verità sul rapimento di Emanuela Orlandi; dal momento in cui - bambino - il rancore si è insinuato nella sua carne fino a quel 27 dicembre 1983 quando l’incontro con Wojtyla nel carcere di Rebibbia bucò come uno spillo “l’enorme massa di odio” che aveva dentro e segnò l’inizio di un cambiamento irreversibile.
Mi avevano promesso il paradiso è un libro freddo, duro, a tratti anche spietato come spietato può essere solo il racconto di chi si è reso conto di aver creduto per anni a una menzogna, di essere stato vittima e strumento di una bieca ideologia e di aver agito mosso da un odio ingiustificato. Ma è anche un libro commovente in cui a parlare è l’uomo Mehmet, un uomo che racconta di come alla fine sia giunto a una vittoria privata - sebbene molto diversa da quella che aveva immaginato da piccolo - al riscatto dall’ideologia arabo-israeliano e dal fondamentalismo islamico che lo avevano spinto a combattere contro il Cristianesimo e ad uccidere.
Una confessione che oltre a rivelare verità finora sconosciute, ci aiuta a capire come in realtà la vicenda personale di Ali Agca sia paradigmatica delle condizioni di un popolo, dell’odio che le ideologie mettono in campo per attuare progetti di morte e distruzione, ma soprattutto di una fetta di storia che purtroppo - sostiene l’autore - è ancora molto attuale.
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