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A pag. 250 scatta un deja-vù: 1996/97, riunione genitori insegnante, unico maschio tra i presenti prendo parola e dico che, pur favorevole al lavoro di gruppo, mi auspico che col procedere degli anni il lavoro individuale venga maggiormente stimolato in modo che, giunti alle superiori, i ragazzi non abbiano a trovarsi impreparati. Vengo lapidato. Perché per le mamme più compiti a casa equivalgono a più compiti anche per loro. Perché, come scrive Mastrocola, tocca loro “far fare” i compiti ai propri figli. Gli effetti di questa impostazione li abbiamo sotto gli occhi, in famiglia, nella società: difficoltà ad approcciarsi a un testo complesso, a risolvere da soli i problemi, non riuscire a specchiarsi (direi anche bearsi) della sola propria intelligenza. C’è sempre, o quasi, bisogno di un aiuto esterno. Mastrocola non si limita alla sola situazione scolastica, bensì estende l’analisi ai riflessi sociali, quindi alle influenze politiche. È la politica, nostrana e non, che ha decretato il trionfo dell’appiattimento delle valutazioni e demonizzato il nozionismo e trasformato la scuola in un momento di felice aggregazione anziché (anche) in momenti di personale solitaria riflessione. Senza perifrasi la scrittrice punta il dito facendo nomi e cognomi. Da qui le critiche. Come cantava la Caselli? “La verità mi fa male lo sai…”
Ideale prosieguo di "La scuola raccontata al mio cane", "Togliamo il disturbo" presenta un tono decisamente più polemico: se nell'opera precedente il tono era più elegiaco, perché scritto pochi anni dopo le prime riforme quando ancora non si potevano immaginare gli effetti nefasti che avrebbero prodotto sulla scuola, qui il tono dell'autrice si fa più critico e in alcuni punti anche molto caustico (ci sono stati dei momenti, infatti, in cui mi sono sbellicato dalle risate). La professoressa, nel corso dell'opera, si sofferma su un punto a cui in "La scuola raccontata al mio cane" aveva vagamente alluso: noi viviamo in una società troppo opulenta e pensiamo solo a trovare un lavoro che ci porterà guadagni consistenti ed immediati, il che non ci fornisce quella forma mentis o quell'etica idonee a studiare materie dai contenuti così impalpabili come la letteratura o le lingue antiche. Il tutto con la condiscendenza e la connivenza di genitori, presidi e ministeri di ogni colore politico per nulla coscienti che la scuola fatta come si deve (cioè alla vecchia maniera, parliamoci chiaro!) non ci farà nuotare in piscine traboccanti d'oro, ma ci rende comunque persone migliori; non è un caso che negli anni del boom economico, imprenditori come Olivetti assumevano ingegneri con una FORMAZIONE CLASSICA, a differenza di quanto avviene oggi dove abbiamo pseudo-imprenditori che vogliono giovani smart e iper-tecnologizzati, salvo poi lamentarsi di questi ragazzi perché poco preparati. Ho messo cinque stelle al libro, ma avrei voluto mettere una costellazione intera (e non sarebbe bastato!): i lettori che hanno messo meno di quattro punti, o ignorano la situazione della scuola odierna o sono in malafede, ma in entrambi i casi queste persone non si possono render conto del male che si sta facendo a questi giovani e alla società intera.
Parte bene, poi si capisce qual è il reale punto di vista dell'autrice. Si rivela una professoressa di vecchio stampo incastrata in una concezione della scuola superata in cui gli insegnanti non sono disposti a rimettere in discussione il proprio lavoro, ma solo pronti a puntare il dito, invece di sperimentare nuove forme di educazione adatte a chi sta loro davanti, si limitano a criticare i ragazzi di oggi. Troppo facile lamentarsi e non provare mai a cambiare.
Recensioni
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Nel sottobosco ormai folto della libellistica scolastica prodotta da insegnanti, Paola Mastrocola ha ottenuto particolare visibilità, non solo grazie alla sua notorietà di narratrice, ma anche per il piglio diretto e provocatorio delle sue esternazioni. Già nel 2004 la scrittrice aveva dato alle stampe La scuola raccontata al mio cane (Guanda), un pamphlet amaro e tagliente nel quale prendeva di mira soprattutto il sistema-scuola dell'Italia degli ultimi anni. Con Togliamo il disturbo l'autrice affronta invece, a distanza di qualche anno, il nocciolo più autentico della questione scuola, vale a dire il rapporto insegnante-alunno (e insegnante-genitore), in un'epoca di grandi cambiamenti tecnologici e socio-ambientali che sul quel rapporto pesano in maniera sempre più soverchiante; al punto che l'autrice, come già è suggerito dal titolo, sembra ormai incline a dichiarare una resa senza condizioni.
Il saggio si articola in tre parti e si occupa bisogna sottolinearlo più di quanto faccia la stessa autrice soprattutto della scuola superiore italiana, particolarmente dei licei.
La prima parte è dedicata all'analisi della condizione (esistenziale, sociale e culturale) dei nostri adolescenti. Ne emerge un quadro nel quale giovani e scuola appaiono in un desolante rapporto di reciproca estraneità: i primi appaiono totalmente immersi in una facile (e facilitata dalle famiglie) dimensione ludica, edonistica e consumistica, intimamente aliena dal rigore dello studio; la seconda sembra invece in preda a una comatosa schizofrenia, scissa com'è tra il tentativo, patetico e rovinoso, di rincorrere la "modernità" e di assecondare l'andazzo sottoculturale in cui vivono immersi i suoi studenti/utenti, da un lato, e, dall'altro, la pervicace pretesa dei suoi insegnanti più avveduti di trasmettere ancora contenuti disciplinari alti e impegnativi (Torquato Tasso!).
La seconda parte ripercorre i precedenti storico-pedagogici che, secondo l'autrice, avrebbero condotto la scuola italiana a emarginare lo studio nozionale e astratto per avventurarsi in spericolate sperimentazioni pseudodidattiche sostenute dalla fama, più e meno meritata, di teorie educative à la page. E qui Mastrocola si cimenta nel tentativo di ridimensionare, storicizzandoli e dissipandone l'alone profetico, mostri sacri come don Milani e Gianni Rodari. Il primo, secondo l'autrice, avrebbe sollevato critiche fondate alla scuola classista degli anni cinquanta e sessanta, ma avrebbe concesso troppo al "donmilanismo", cioè alla trasformazione delle sue idee in intoccabili idoli pedagogici. Ugualmente andrebbe imputata al "rodarismo", più che a Rodari, la fortuna del paradigma di una scuola liberata dai "programmi", luogo elettivo del gioco sbrigliato e della creatività pura.
Molta attenzione è dedicata altresì da Mastrocola, nella prima come nella seconda parte, al fenomeno da lei considerato la causa più recente e profonda della scomparsa dell'attitudine seria e metodica allo studio: vale a dire l'uso scriteriato del computer e di Internet. Entrambi, secondo l'autrice, avrebbero inciso negli ultimi anni profondamente nella forma mentis dei giovani, sia perché avrebbero ingenerato in molti di loro una vera e propria dipendenza dissipatrice di tempo e di energie intellettuali, sia soprattutto perché avrebbero favorito un approccio sempre più superficiale, frettoloso e casuale al sapere e alle sue fonti.
Nella terza parte del saggio Mastrocola, a fronte del disperante quadro d'insieme tracciato nelle prime due, un po' sorprendentemente si avventura in una "modesta proposta" di ristrutturazione complessiva della scuola superiore italiana; la quale, secondo un progetto che lei stessa definisce comunque utopico, dovrebbe articolarsi in tre settori: un settore professionalizzante (work school), finalizzato soprattutto all'apprendimento immediato di un mestiere, ma non privo nei suoi programmi di una robusta componente umanistica; un settore della comunicazione (communication school), dove si continuerebbe a imparare di tutto un po', quasi in una prosecuzione dell'attuale scuola media, ma con prevalenza della didattica esperienziale, dei linguaggi multimediali e dei saperi relazionali; un settore, infine, dello studio astratto e della speculazione teoretica (knowledge school), che restituirebbe al vecchio liceo la sua funzione guida di preparazione allo studio universitario e alle professioni più intellettuali.
Si possono muovere varie obiezioni a questo libro: l'esagerazione (e la generalizzazione eccessiva fino allo stereotipo) nel descrivere l'attuale condizione giovanile come costituzionalmente refrattaria allo studio; la sopravvalutazione dell'incidenza del web e dei network su questa disaffezione a fronte del singolare silenzio dell'autrice sull'influenza non meno deleteria della televisione commerciale; persino il tono dell'argomentazione, non di rado apodittico e a tratti supponente di fronte a una realtà decisamente complessa.
Si può contestare in particolare (nel merito della pars construens) la proposta di una scuola tripartita che conservi comunque al suo interno la communication school, cioè un liceo facilitato e culturalmente depotenziato, una scuola superiore né carne né pesce che sforni sostanzialmente dei consumatori-comunicatori addestrati e omologati: se è vero che da anni il ministero tenta di trasformare i vari licei pubblici italiani in una scuola del genere (ma fortunatamente non vi è ancora riuscito del tutto), è lecito chiedersi (e chiedere a Mastrocola) perché mai si dovrebbe avallare e istituzionalizzare questo tentativo; meglio sarebbe allora restituire ai nostri licei un rigore selettivo che "ri-orienti" tempestivamente i ragazzi meno motivati allo studio teorico verso altri tipi di studio; ma la parola "selezione" è ormai tabù nella scuola italiana e persino Mastrocola sembra accuratamente evitarla; forse perché avrebbe condotto il suo discorso su lidi accidentati e poco confacenti con la linearità apolitica e idealistica delle sue tesi.
Di questo libro si possono dunque criticare molti aspetti, compresa la sua lunghezza complessiva, forse pleonastica rispetto al succo delle idee che contiene e figlia di uno stile ridondante e didascalico. Sarebbe tuttavia un grave errore liquidarlo come la voce attardata e inattuale di un'insegnante nostalgica, perché l'analisi che l'autrice conduce in tutta la pars destruens ci squaderna davanti molte verità inoppugnabili e perciò stesso ineludibili. E per quanto queste verità siano note a una buona parte di coloro che insegnano oggi nei nostri licei, esse non risultano altrettanto chiare e nette nella mente di gran parte dell'opinione pubblica, che non conosce la nostra scuola dall'interno: genitori, intellettuali, giornalisti, politici. Molti appartenenti a queste ultime categorie, infatti, quando parlano della scuola italiana, continuano a sbandierare come antidoto alla sua decadenza la facoltà taumaturgica di pedagogie ludiche, della personalizzazione dei curricula, dei progetti e delle attività aggiuntive rivolte all'attualità e al territorio, della psicologia adolescenziale, del computer, della multimedialità, eccetera ecc.. Come se tutto questo fosse il possibile rimedio contro un degrado che in realtà e al contrario! proprio tutto questo (cioè la cieca, e dilettantesca, rincorsa a un "progressismo" educativo malinteso e a una scuola-azienda agghindata da mille illusorie decorazioni tecnocratiche) ha contribuito negli ultimi decenni a produrre.
Per quanto discutibile in alcune sue parti, questo libro ci ammonisce a non perpetuare questo pericoloso equivoco: stiamo attenti a non scambiare la causa del male per il rimedio, il veleno per la medicina, riattivando all'infinito un perverso circolo vizioso ed emarginando sempre più dalla scuola ciò che dovrebbe occuparne sempre e comunque il centro, cioè la cultura e lo studio. D'altro canto, solo restituendo serietà e qualità alla scuola pubblica si possono togliere alibi a chi sta progettandone scientificamente la soluzione finale.
Paolo Mazzocchini
Nel 2004 Paola Mastrocola ci aveva regalato un libro più piccolo, più veloce, uno sfogo più che un trattato, il cui intento polemico era evidente sin dal titolo: La scuola raccontata al mio cane.
Oggi dalla sua esperienza nasce un saggio completo, un'analisi impietosa e grave della situazione attuale non solo della scuola, ma della cultura, della società, della vita degli italiani, del futuro dei giovani.
L'intento polemico è invariato e anche questa volta lo leggiamo sin nel titolo: Togliamo il disturbo, come dire che, dato che la società ci impone un modello culturale dove preparazione diventa sinonimo di nozionismo – “vade retro” nozione! - e ogni sforzo intellettuale assume valenza negativa, gli insegnanti possono anche togliere il disturbo.
"Oggi se parli di studio, sei subito vecchio. Pesante, lento, bacucco, fuori moda, antipatico e noioso. Studio è una parola perdente a priori: appena la pronunci, hai già perso.
Non studiare invece è bello, sa di nuovo, di fresco e di gioioso. È come andar per campi a fare una merenda, o i tuffi dagli scogli, o una camicia appena lavata e stesa al sole."
Al centro dell'analisi del 2004 c'era la trasformazione del lessico: il verbo rimandare che si trasforma in recuperare e perde ogni pericolosità; dall’iniziare le lezioni il primo giorno di scuola all’accogliere i ragazzi per una settimana senza fare nulla; dai programmi ai progetti in una scuola incentrata sul marketing... e così via. Una trasformazione formale che portava con sé quella concettuale.
Oggi la professoressa di lettere Paola Mastrocola racconta gli ultimi decenni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, facendone un'analisi anche "fastidiosa" per certi versi, rileggendo soprattutto le trasformazioni culturali di questi anni, le scelte di indirizzo, i tanti errori - spesso mascherati sotto un apparente abito di innovazione - e i pochi successi.
Se dovessimo trovare anche qui le parole-chiave attorno alle quali si svolge il ragionamento sarebbero: fallimento, disastro, inutilità, illusione, abisso, impotenza...
Le prime due parti del saggio fotografano la scuola italiana e di conseguenza la preparazione dei giovani - certo, vista con gli occhi di Paola Mastrocola, diciamo un'analisi soggettiva ma molto ben argomentata - offrendone un'immagine drammatica, quasi senza via d'uscita.
La terza parte offre la via d'uscita: "mi è parso di aver trovato niente meno che una soluzione per il futuro.. Qualcosa che ha a che fare con la felicità dei giovani, la loro libertà di scelta. Insomma, la terza parte - scrive ancora la Mastrocola - è la mia personale “modesta proposta”: in poche parole, lì vi dico che farei io se governassi l'universo, quale scuola inventerei".
Ecco altre parole importanti: libertà, scelta, individuo, responsabilità.
E tre nomi: Carlo Martello, Dante e Jonathan Franzen. Cosa c'entrano Carlo Martello, Dante e Jonathan Franzen con tutto il discorso di prima? Vedrete che c'entrano eccome.
La “modesta proposta” della Mastrocola è una scuola divisa in tre direzioni ben distinte. Con una innovazione legata al nostro vivere quotidiano multitasking basata però su una preparazione di base eccellente, "e poi liberi tutti!".
È in questa parte finale, travolgente, l'anima del libro.
"Evitiamo il pericolo strisciante dell'omologazione": è importante! Così come è importante capire per cosa siamo nati, cosa vogliamo fare, indipendentemente dal pensiero dei molti. La scuola ci deve offrire la possibilità di scegliere, e di farlo anche controcorrente. Ci deve fornire le basi, nei primi anni dell'obbligo, per capire se siamo nati per studiare o per fare un lavoro manuale, per coltivare la terra o per fare il tecnico di computer, per leggere Torquato Tasso o per cucinare. Indipendentemente dalla famiglia di origine e dalle velleità dei genitori.
"Ci vuole un certo coraggio, la libertà non è affatto una scelta facile", ma potrebbe portare a una formazione superiore diversificata e piacevole per tutti. Liberando anche la scuola da quel conformismo e quella superficialità che la stanno uccidendo.
A cura di Wuz.it
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