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Sono stupita, in questo libro ci sono tanti spunti di riflessione, non mi aspettavo. Trovo che sia davvero un libro ben fatto, accurato nei dettagli e nel linguaggio. Per di più è stato emozionante leggere la postfazione, rimpiango di non aver potuto conoscere il professor Marco Dinoi.
E' possibile, oggi, sottrarre le immagini degli eventi dell'11 Settembre al flusso mediatico? Cosa si può sapere là dove una partecipazione è quasi sempre una partecipazione (tele)visiva? Cosa sa chi al posto di un fatto si trova davanti unicamente la sua immagine, o, come nel mondo della rete informatica, uno stenogramma dell'immagine? Queste sono a cui l'autore, cerca di dar risposta nel suo libro. Se la narrazione mediatica opera solo sul polo percettivo, sullo sguardo, facendo in questo modo del “vedere” la garanzia e la sostanza del “conoscere”, il cinema può e deve articolare una verità più profonda di quella offertaci dalla logica della sovrimpressione televisiva. Ed è proprio in certo cinema contemporaneo, suggerisce l'autore, che possiamo presagire un tentativo di connettere i frammenti di realtà, che turbinano alla rinfusa, in immagini che tornino ad assolvere una funzione testimoniale. Ma è una connessione che può stabilirsi solo ad un patto: che l'esperienza percettiva (il guardare) non si sostituisca a quella cognitiva (l'imparare).
Ancora una volta, come sempre e più che mai, che cos'è e cosa non è una immagine. Perché l'immagine. Marco Dinoi, con una sistematica indisciplina culturale - meritevole più che mai, data la sapienza e l'inventiva che traspaiono continue nelle pagine di questa opera - mostra e dimostra con una grandissima apertura teorica come il problema dell'immagine sia il crocevia gnoseologico per eccellenza... per focalizzare tutte le soggettività e tutte le alterità possibili. La prima istanza significativa è quindi proprio questa: concentrare l'attenzione su una lettura "fenomenologica" dell'immagine audio-visiva. E Dinoi utilizza a tale proposito il cinema e i media in quanto "modo-mondo" del divenire sostanza delle immagini. Da questo punto di vista diventano letteralmente ESEMPLARI le strepitose pagine dedicate ad alcune opere di Chris Marker, che si fondano su un approccio davvero distante dalla esegesi testuale e stilistica canonica, per tendere invece ad una costruzione prospettivistica e fenomenologica del "segno" di Marker (specie quando Dinoi scriverà di LEVEL FIVE, collocando implicitamente l'opera del francese tanto nel "cuore del cinema" - se stiamo a Deney, che apostrofava il cinema come "articolazione di un discorso", il discorso-Marker per Dinoi è il discorso sul "senso" dell'immagine audio-visiva - quanto nel suo fuori, per via della secondarietà che l'idea di "messa in scena" assume nel cinema dell'autore francese). La ricchezza poi di questo testo è data dalla molteplicità reticolare di riferimenti, i rinvii costanti ad altro, la tessitura dell'ordito. Il tutto con una compattezza che privilegia l'analisi, lo smontaggio e una certa prevaricazione filosofica rispetto ad un basso continuo semiologico, come p.es. possiamo riscontrare nell'opera di uno dei più grandi studiosi italiani di cinema, maestro - non a caso - dello stesso Dinoi: M. Grande. Nella diversità degli approcci, la stessa convergenza degli esiti nell'idea di critica del maestro e dell'allievo: la centralità dell'analisi nella creazione.
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