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Calvino è stato uno dei più grandi scrittori italiani del secolo scorso, e sicuramente era un letterato "puro": eppure arrivava da una famiglia di biologi e chimici. Questo può far intuire come il rapporto con la scienza di Calvino possa non essere stato effettivamente banale. Questo libro dovrebbe appunto parlare di come lo scrittore si rapportasse con la scienza. Purtroppo però i risultati non sono all'altezza delle aspettative che io avevo. Ci sono indubbiamente degli spunti interessanti, come la definizione di <em>Cosmicomiche</em> e <em>Ti con zero</em> - le due opere al centro di questo libro - come "antifantascienza" e le pagine dove l'apprezzamento di Calvino per Galileo, considerato il più grande scrittore italiano di tutti i tempi, viene sviscerato in tutti i suoi particolari, pur con parecchie ridondanze. Ma il risultato complessivo mi pare piuttosto deboluccio, quasi come se fosse un seminario universitario (l'autore insegna Storia delle rivoluzioni scientifiche alla sede di Arezzo dell'Università di Siena) allungato più o meno a forza per arrivare a una dimensione pubblicabile come libro. Per onestà aggiungo che le numerose note a piè di pagina sono interessanti e aiutano a dare una visione più ad ampio spettro del mondo letterario italiano degli anni '60, e a capire le relazioni di Calvino con Vittorini, Solmi, Fruttero, de Santillana: ma nonostante ciò non mi sentirei di consigliare il libro.
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La monografia di Massimo Bucciantini su Italo Calvino e la scienza è un libro che la critica letteraria italiana attendeva da tempo. Semplicemente perché affronta in maniera rigorosa e persuasiva un tema che ha avuto una centralità decisiva nella carriera poetica e intellettuale di uno dei più importanti scrittori del Novecento. Non è sorprendente che a fornircelo sia uno storico della scienza, come del resto sono stati più gli epistemologi a interessarsi ai contenuti scientifici dell'autore delle Cosmicomiche e di Ti con zero (Ruggiero Pierantoni, Mario Porro), mentre nota è l'indifferenza o addirittura l'aperta ostilità con cui i critici letterari hanno guardato a qualsiasi esercizio contaminante in letteratura, soprattutto se questo proveniva dalla scienza contemporanea, vista come un grande "altro" contro cui la letteratura si è sempre opposta e autodefinita (e questo senza scomodare la questione delle "due culture").
A riguardo sembra proprio che le polemiche sollevate negli anni sessanta da Vittorini e Calvino contro una cultura umanistica e letteraria un po' troppo ingessata e conservatrice, incapace di aprirsi ai processi culturali in atto e ripiegata su una dimensione del tutto soggettivistica e consolatoria del fare artistico (e che Bucciantini spiega benissimo nel quinto capitolo del libro), siano rimaste lettera morta nella cultura nazionale, che ha perso di vista alcune fra le sollecitazioni progettuali e critiche più feconde, e ha molto più facilmente optato per le seduzioni dell'irrazionale, del misticismo mitografico (e per quella che Vittorini definiva "tensione sentimentale"), piuttosto che aprirsi a forme di razionalismo analitico più costretto. E dire che a proposito proprio Calvino aveva tentato di coniugare questi due universi di discorso apparentemente antitetici, il mito e la scienza.
Come ricostruisce Bucciantini nel capitolo su Fiaba, mito e cosmologia, il percorso progettuale del cosiddetto "secondo Calvino" parte non tanto e non solo da letture epistemologiche e scientifiche, ma dalle sollecitazioni avute dall'incontro con lo storico della scienza Giorgio de Santillana, che aveva affrontato il tema dell'unità e continuità della conoscenza umana, soprattutto nelle sue ricerche sulle strutture della razionalità mitica e archetipica, spostando la focalizzazione sulla razionalità del religioso arcaico e non sulla convenzionalità o "irrazionalità" della scienza moderna (come stava facendo la teorizzazione dominante negli anni in cui Calvino scriveva). L'intento dell'autore di Palomar era quello di spingere la cultura letteraria italiana in direzione di una prospettiva laica e razionalistica, progettando una nuova "letteratura cosmica" che si ponesse il "senso di responsabilità verso l'universo" attraverso il tentativo di definire "una coscienza extraindividuale" capace di scardinare "definitivamente ogni visione consolatoria e finalistica dell'uomo, ma anche qualunque opposizione essenzialistica tra uomo e natura".
Questa considerazione radicalmente materialistica della realtà sembra rispondere in anticipo anche a quelle sollecitazioni che sarebbero venute da Sebastiano Timpanaro (con cui Calvino era in dialogo) in alcuni suoi interventi sui "Quaderni piacentini", poi raccolti in Sul materialismo (Nistri-Lischi, 1970). Per Timpanaro si era infatti persa, anche nel marxismo italiano, una vera ispirazione di carattere materialista che facesse della descrizione scientifica la base per qualsiasi considerazione sulla realtà naturale e umana. Calvino sembra l'unico autore che coscientemente in quegli anni faccia suo il monito timpanariano, proponendo un'immagine non antropocentrica del cosmo, ma istruita attraverso una comprensione evolutiva e materiale dell'universo, e ponendosi seriamente il problema di come questa nuova visione dovesse essere recepita come una sfida intellettuale, come uno stimolo imprescindibile per scardinare immagini consolidate e a pensare il mondo oggettuale e umano in maniera nuova. Questa sua "eccentricità" epistemologica nel panorama delle lettere italiane (che contrastava con la sua centralità pubblicistica e editoriale) porterà Calvino da una parte a un isolamento intransigente, dall'altra alla definizione di una "sua idea di letteratura attraverso la riscoperta e l'invenzione di un canone letterario", a cui lui sente di appartenere, coniugando una dimensione sperimentale con una fedeltà alla migliore tradizione italiana.
In questo, l'affermazione iniziale di Bucciantini è quanto mai perentoria e sottoscrivibile: a dispetto della sua apertura ai saperi altri, a un'idea del mondo più complessa e allargata, per Calvino "esiste sempre e soltanto la letteratura", ma è una letteratura che pensa, che vuole porsi come strumento di indagine e di conoscenza. Al proposito, Bucciantini ricostruisce le polemiche con Carlo Cassola e Anna Maria Ortese, che portarono Calvino a definire quella genealogia ariostesco-galileiano-leopardiana che costituisce uno degli assi più importanti e indispensabili del nostro canone nazionale. A Galileo Calvino dedicherà un'attenzione particolare (che l'autore ricompone nei due capitoli finali del libro), sia per la sua capacità immaginativa, sia per lo stile, sia per la nuova immagine del mondo da lui introdotta, "esempio altissimo per essere riuscito a stabilire un rapporto positivo tra scrittura e mondo".
Il merito del libro di Bucciantini è di avere scavato in dettaglio e in profondità nelle carte calviniane, fornendo un lavoro che mancava, sia per l'acquisizione di materiali d'archivio non ancora esaminati dalla critica calviniana, un po' troppo legata a formule stabilizzate, sia per il resoconto complessivo delle proposte letterarie, culturali e critiche fatte da Calvino a partire dagli anni sessanta. Calvino e la scienza si affianca al recente libro di Kerstin Pilz sullo stesso argomento (Mapping Complexity: Literature and Science in the Works of Italo Calvino, Troubador, 2005), ma con un maggior rigore di carattere filologico e di ricostruzione storica, fornendoci persuasivamente l'articolazione minuta di un dibattito e di un progetto letterari tra i più potenzialmente fecondi del Novecento italiano. Pierpaolo Antonello
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