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Eppure questa polarità suona ancora tanto, troppo moderna, e da Koselleck ci si sarebbe potuti attendere ulteriori e più approfondite riflessioni. Il cosmo prevede o no il suo e nostro fallimento "a prescindere", per un destino deterministicamente e fatalmente esiziale? Se il male è sempre stato sotto gl'occhi di tutti, che dire invece del bene? La storia è monovalentemente negativa oppure ambivalente? E se presenta anche un elemento positivo, quale senso può mai avere la sua coesistenza col proprio opposto? Il bene ha in sé un unico fine: ambire al Bene, quello Assoluto, "senza se e senza ma". Fin qui dalla storia s'è imparato (almeno? purtroppo?) questo: che uno scopo del genere non è e non c'è concesso. Poi, chissà.
Il "principio di precauzione”, temendo le possibili conseguenze erronee d'una scelta decisionale anche apparentemente valida, certa e oggettiva, nella sfera giuridica si traduce nel motto "meglio 100 colpevoli fuori che anche un solo innocente dentro". Che il garantismo sia meglio o peggio del giustizialismo forcaiolo è invece indimostrabile, in situazioni simili ci si basa soltanto su assunti e assiomi ideologici, personali, privati e poi collettivamente condivisi per fideismo. Nell'indecidibilità costitutiva del postmoderno, si sospende il giudizio e si lascia precipitare il corso degli eventi. Tanto non si dispone della risorsa d'un controfattuale storico per l'analisi comparat(iv)a delle conseguenze a breve, medio e lungo termine delle opzioni effettuate o effettuabili. Così Koselleck, chiedendosi: "Historia magistra vitae?" (Cicerone, p. 32), conclude che viceversa "dalla storia s'impara appunto solo la storia" (Radowitz, p. 39).
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