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Il libro contiene un centinaio di ritratti letterari di personaggi della cultura, dell’industria e della politica italiana. La maggior parte di questi sono frutto di consuete frequentazioni soprattutto romane tra salotti, premi letterari, caffè; altri sono incontri professionali per farne un’intervista o un articolo di giornale. Altri ancora sono del tutto immaginari. Lo stile è quello raffinatissimo del Segretario Vogherese, velenoso, affettato, lievemente censorio, ma con quel profumo di vecchia signora che prende un tè da Babington con le amiche. Una prosa elegante, sottile, a quasi sempre non immediata. Fulminanti i ritratti di Gianni Agnelli e Giorgio de Chirico. Libro assolutamente consigliato.
Vastissimo materiale umano e sociale che fotografa un’epoca storica di interesse estremo per me. L’Italia che si libera dalle macerie polverose della guerra e diventa borghese operaia intenta a sprovincializzarsi e a diffondere benessere, quest’Italia vista attraverso ritratti dei suoi esponenti più celebri. Almeno secondo il metro di Arbasino. Una cosa che mi piace tantissimo. Purtroppo Arbasino non è Montanelli. Gli manca la sintesi seppure graffi parecchio. Sembra che voglia imitare, nella forma e nel linguaggio, il miglior Gadda (la più convincente imitazione permanente dello stile di Gadda è di un altro sommo lombardo: il rimpianto e defunto Gianni Brera). Ma per scrivere difficile come Gadda bisogna essere Gadda, altrimenti son dolori per chi legge; e non basta la sterminata cultura che pur il erudito Arbasino possiede in dosi eccedenti. Così alla fine i contorni del ritratto vengono fuori con grande fatica tutta a carico del povero lettore, però secondo me merita la fatica e leggendolo scoprirete il perché.
Una galleria notevole, Arbasino rievoca illustri personaggi del mondo della cultura italiana novecentesca (con qualche pennellata ottocentesca, essendo presenti Verdi e Dossi, scomparsi ai primi del ‘900). Come evidenziato dal precedente recensore, alcuni “ritratti” sono effettivamente poco accessibili a chi non abbia fatto parte del milieu artistico e culturale frequentato dall’Autore o non ne conosca la storia alla perfezione, risultando quindi di ostica lettura. Detto questo, nel complesso ritengo ugualmente più che meritevole il libro, sia perché oltre ai suddetti “profili ermetici” (generalmente abbastanza brevi) ve ne sono numerosi accessibili a chiunque, maggiormente sviluppati e di grande interesse (su tutti segnalo quelli riguardanti Fellini, Flaiano, Pasolini, Praz, Testori e Zeri) sia per lo stile elegante, i gustosi aneddoti e le infinite curiosità letterarie, musicali, teatrali disseminate tra le 550 pagine dell’opera.
Recensioni
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“Non fate pettegolezzi”, lasciò scritto Pavese prima di suicidarsi.
Un precetto che Alberto Arbasino sembra aver voluto sistematicamente disattendere, nella sua ormai cinquantennale carriera di scrittore.
Per fortuna, nostra e sua, verrebbe da aggiungere, e con buona pace del grande scrittore piemontese.
Con infaticabile zelo e senso dell’umorismo Alberto Arbasino ha infatti composto nel tempo uno zibaldone di osservazioni e ricordi che s’intreccia a doppio filo con la storia del sistema culturale e del milieu che attorno a quel sistema gravità.
Nel corso degli ultimi cinquant’anni tutti i protagonisti della letteratura e dell’arte sono passati sotto la lente ad alta definizione di questo cronista dal passo ormai classico, i cui ritratti potremmo idealmente collocare nelle nostre librerie accanto alle “Vite” di Vasari o, con un’ironica sprezzatura che a lui forse non dispiacerebbe, a Plutarco.
Ma le vite raccontate da Arbasino non sono quasi mai parallele; somigliano piuttosto a corsi d’acqua, affluenti di uno stesso fiume, che convergano lentamente, fino a confondersi in un punto preciso, che spesso coincide con brevissime, efficaci epifanie.
Un gesto, un tic, un lapsus: è in questi “scarti” che il nostro coglie al meglio l’essenza dei suoi osservati speciali, e spesso nelle istantanee di Arbasino ci par di riuscire a percepire quello che Roland Barthes chiamava “punctum”. L’aspetto emotivo, cioè, che trascende.
Quello che Adelphi manda nelle librerie oggi con Ritratti italiani è un tassello importante della bibliografia arbasiniana, presentando una galleria eterogenea di numi tutelari dell’Italia dal secondo dopoguerra in avanti.
È un’Italia – va detto – per la quale non si può non provare una certa nostalgia, tanto appare evidente la sproporzione fra gli italiani che sono chiamati a rappresentarla e un’immaginaria, analoga operazione che fosse ambientata solo ai giorni nostri.
Gadda, Longhi, Cecchi, Calvino, Soldati, Eco, Einaudi, Pasolini e tantissimi altri sono osservati con partecipe ironia, ma mai con sarcasmo.
Sembra quasi di vedere Arbasino prendere appunti sui loro tic, in un angolo, leggermente discosto, con un sorriso mai beffardo o irridente; un sorriso del quale sa metterci a parte, per cercare una complicità col lettore che è forse la vera, più autentica cifra del suo stile.
Le debolezze di questi arcani maggiori, artisti, scrittori, politici e personaggi pubblici sono disvelate con una bonomia e un gusto per l’aneddoto che spesso sconfina nel pettegolezzo; ma qui la parola va intesa nella sua accezione più bella, quasi settecentesca, e – pur avendo Arbasino inventato la proverbiale figura della casalinga di Voghera – mai provinciale.
A cura di Wuz.it
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