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È un libro del 2004, Putin è ancora al potere oggi, nel 2021, (e dopo aver letto il libro, come stupirsene?) e Anna Politkovskaja purtroppo pagò nel 2006 con la sua vita la ricerca e il racconto della verità. "Ho riflettuto a lungo sul perché ce l'ho tanto con Putin. Che cosa me lo fa detestare al punto da dedicargli un libro? Non sono un suo oppositore politico, sono solo una cittadina russa. Una moscovita quarantacinquenne che ha potuto osservare l'Unione Sovietica all'apice della sua putrefazione comunista, negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, e non vuole ricascarci."
Descrizione sconcertante della situazione russa
Finora è il libro che ho preferito fra quelli che ho letto di quest'autrice. Molto schietto, come è nel suo stile, ma anche più completo rispetto agli altri. L'ho trovato più chiaro e mi ha permesso di capire meglio la situazione russa nella sua globalità. Struggenti i racconti delle vite (e più spesso delle morti) delle persone comuni. Pare incredibile che uno stato che si definisce una superpotenza possa ritrovarsi in queste condizioni e trattare i suoi cittadini in modi così brutali.
Recensioni
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All'inizio del XXI secolo è ricomparso in Russia lo spettro di Akàkij Akakièvič, il protagonista di Il cappotto di Gogol'. Lo spettro ha subito una metamorfosi, Akàkij Akakièvič non è più solo il travet invasato di entusiasmo amministrativo, ma è diventato un "personaggio considerevole" che è asceso al "trono di tutte le Russie" e che ha modi "gravi" e "imponenti", ma schematici: la prima ipostasi del suo sistema è la "severità". È questo il ritratto di Putin che emerge dal libro di Anna Politkovskaja, corrispondente della "Novaja Gazeta" e cronista pasionaria del secondo conflitto ceceno (nel 2002 si è offerta come negoziatrice per la liberazione degli ostaggi nel teatro Dubrovka di Mosca e nel 2003 le è stato conferito il premio Ocsce per il giornalismo e la democrazia).
Nel 2003 è stato pubblicato in Italia un altro libro della giornalista russa ( Cecenia. Il disonore russo , pp. XI-192, EURO 15, Fandango, Roma), con una prefazione di André Glucksmann nella quale il massacro senza fine della Cecenia è considerato l'emblema di un'"autocrazia postideologica", senza "fede né legge", incarnata da un "fabbricante di apocalissi". Mentre Glucksmann considera Putin un demone meschino, succedaneo tardo cekista della demonologia dostoevskiana, per Politkovskaja, invece, il presidente russo ha conservato la tipica forma mentis (angusta e scialba) del tenente colonnello del Kgb. Putin non è un "despota congenito", ma un militare educato all'arte del monologo imperioso e al "nonnismo ideologico". Non concepisce il dissenso e la polifonia democratica. Per l'autrice Putin è un restauratore, il simbolo del "revanscismo sovietico". La restaurazione nazional-sovietica ha suscitato un "coro di osanna in Occidente": tra le voci del coro si è distinta quella di Berlusconi, che di Putin "si è invaghito e che è il suo paladino in Europa".
Nello stilare il suo j'accuse Politkovskaja tenta di rispondere all'interrogativo: "Perché ce l'ho tanto con Putin?". Il libro, infatti, non è un trattato di politologia sull'"autocrazia elettiva" o sulla "democrazia guidata" postsovietica, ma un insieme di "appunti a margine" della vita quotidiana al tempo del "nuovo medioevo" russo. Nel dedalo di stanze di vita quotidiana, dove la cronaca degli avvenimenti correnti si intreccia con le microstorie di gente comune, un posto centrale occupa l'esercito, uno dei "pilastri" dello stato sul quale poggia il potere dei siloviki (gli uomini dei ministeri della forza), la ristretta cerchia che costituisce l'ossatura politica e ideologica del putinismo. "Icona" dell'epoca putiniana è il processo al colonnello Jurij Budanov che ha combattuto le due guerre cecene e che è stato insignito di due medaglie al valore. Il 25 luglio 2003 Budanov è stato condannato a dieci anni di carcere duro per crimini compiuti nel corso di "operazioni antiterrorismo" in Cecenia. Sebbene sia stato accusato di aver strangolato e stuprato nel corso di un interrogatorio El'za Kungaeva (una diciottenne cecena sospettata di essere un cecchino), l'innocenza di Budanov è stata sostenuta sia dall'opinione pubblica (che considera il colonnello un eroe), sia dal ministro della difesa Ivanov. I siloviki hanno tentato di fornire la base ideologica dell'assoluzione, ricorrendo anche ai servigi della dottoressa Pecernikova, una psichiatra che in epoca sovietica è stata una fidata collaboratrice del Kgn nel combattere il dissenso intellettuale come una malattia mentale e che si è adoperata per suffragare la tesi della temporanea infermità mentale dell'eroe delle guerre cecene.
Secondo Politkovskaja, l' affaire Budanov dimostrerebbe il disamore per i "giochi della democrazia" e le mostruosità della "dittatura della legge": la Russia continua a trascinarsi dietro i "pidocchi sovietici". L' homo nazional-sovieticus ha il "cervello offuscato dalla propaganda" dell'accelerazione capitalista e del successo rapace. Il "capitalismo dal volto neosovietico" sembra obnubilare le menti e determinare, spesso tragicamente, i destini dei "nuovi russi" irretiti da un modello economico che è un ibrido "bizzarro" tra leggi di mercato e "dogma ideologico". In un contesto sociopolitico dominato dalla rapacità, Politkovskaja racconta storie di repentina ascesa e di altrettanto rapido declino sociale dall'era El'cin, con gli arricchimenti improvvisi avvolti da un alone di romanticismo bovarista, alla presa del potere dei "pragmatici insaziabili", che, come Putin, sono stati "umiliati e offesi" dalla vita precedente e che si vogliono vendicare del passato. I "nuovi russi", guidati da Akàkij Akakièvič II, sono accecati dal sole ingannatore dell'"appropriazione indebita" con la "connivenza" della burocrazia corrotta e sul ponte Kalinkin a San Pietroburgo si torna a parlare di "cappotti rubati".
Roberto Valle
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