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Come si può azzardare una chiosa qualunque a pagine nelle quali un autore - e che autore - dispensa stima e devozione ai lavori di altre anime poetiche con parole di perfezione indiscussa? Un libro che è un bagaglio interiore, non saprei definirlo altrimenti. Walser ripercorre i suoi omaggi di lettore come un maestro di stile che anzitutto non lesina mai gratitudine. Questa sua lucida umiltà alza le pagine a livello di vette del suo sentire di lettore, simili a sentieri spinosi che graffiano si le gambe, ma nella continua gioia di un'esperienza rara. L'amore per Jean Paul e i suoi libri, miscela di incantato idillio campestre e mondanità pesante. Il Kleist del'Homburg o il Brentano più claustrale, o l'arioso prorompente Schiller del Don Carlos: "Inchinarsi davanti a un grande per fortuna più facile che essere personalmente grandi". Su Holderlin:"Era un leone costretto a comportarsi con garbo. Si infranse in lui ogni chiarezza, ma al colmo dell'abisso la sua musica creò incanto". Su Dickens: "Egli è il re dei re, posso attaccare al chiodo la professione di scrittore". Ma più che nelle riconoscenze personali la bellezza del libro sale davvero quando indugia nelle segrete del proprio io, nelle caverne del senso e del dubbio attorno al cosmo del leggere. "Il libro è in un certo senso una catena. Ci incanta, ci soggioga, e noi accettiamo tale dispotismo come un toccasana. Il peggior libro non è dannoso quanto la totale indifferenza di chi non prende un libro in mano...Nonostante leggere faccia esigenti le persone, perché si vorrebbe ritrovare nella vita ciò che si è trovato nei libri". Tuttavia è nell'ultimo giro di pagine che Walser tocca la sua meraviglia, nei vortici e nelle entrate dentro se stesso con illuminante e commossa ironia:"Qual'è la vera storia di un poeta? Io, per esempio, che sono un poeta, come discorso funebre - quando verrà il momento - mi auguro solo bugie. Purchè siano deliziose". Un diario del cuore, nient'altro, tutta la sua grazia qui è scandita.
Recensioni
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"Chi può pretendere di scrivere la vera storia di un poeta?". Così chiede Robert Walser nel primo dei testi qui raccolti, e la domanda già contiene una dimessa dichiarazione di poetica cui ricondurre queste brevi prose. Sono trentadue miniature, composte lungo tutto l'arco della sua produzione letteraria, dall'inizio del Novecento fino agli anni trenta. Vi si parla dell'esperienza della lettura, di alcuni personaggi letterari, soprattutto di alcuni scrittori. Salvo qualche eccezione (Dickens, Sue, Blei), sono i protagonisti della stagione letteraria classico-romantica a ricorrere qui con più frequenza. Tra questi, Walser mostra una predilezione per coloro che furono votati più al martirio che alla rappresentanza: Kleist, Brentano e altri, cui capitò di essere spesso fraintesi dai contemporanei (e d'altra parte, osserva Walser, non vi è nulla di "tanto salutare come una robusta dose di misconoscimento"). Che poi verso di loro, nel corso dell'Ottocento, il pubblico fosse passato dall'incomprensione a un culto che si alimentava di dettagli caratteriali e biografici, di "caratteristiche" e aneddoti, è un fatto decisivo per la nascita di queste prose. Ma i "ritratti" di Walser si distaccano da questo tipo di produzione: descrizioni ed episodi dalle vite dei poeti sono occasioni per l'esercizio, lieve e meraviglioso, della fantasia poetica dell'autore. Così, figure ormai cristallizzate nel canone letterario riacquistano vita, poste al centro di fiabesche fantasie (Brentano) o di brevi, laconiche scene drammatiche (Lenz). Il tutto, certo, a scapito del valore documentaristico, ma, come si è detto, nessuno può pretendere di scrivere la vera storia di un poeta. Forse proprio perché così consapevole di questo, Walser riuscì in questi testi a fare qualcosa di più e di meglio.
Marco Rispoli
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