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Anno edizione: 2010
Anno edizione: 2018
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Non è un romanzo, non incuriosisce, non insegna, non diverte, non si ha nemmeno voglia dui parlarne.
Dalle distanze siderali degli scranni sentenziosi degli italici atenei,Scurati ci offre un romanzo a più dimensioni che nutre l'ambiziosa pretesa di indagare,con problematicità e feroce spirito critico,il reale in cui siamo immersi agli albori del nuovo millennio.E' un'opera che si pone caoticamente al crocevia tra narrativa,inchiesta giornalistica,cronaca nera,saggistica,racconto autobiografico;il tutto striato di intense venature poliziesche da libro giallo.Un testo ancipite,ibrido,proteiforme,nel quale verità ed invenzione letteraria si mescolano in un amalgama non sempre riuscito e talvolta straniante.L'autore,lasciando aleggiare su gran parte delle pagine atmosfere claustrofobiche in stile gotico,mette in scena riconoscibilissimi casi di bruciante attualità,seppur parzialmente camuffati e trasferiti in un diverso orizzonte geografico (alcuni,invero,neanche trasfigurati dal potere metamorfico della penna),che ingenerano nel lettore,il quale annaspa tra le righe di una storia ansiogena ed asfissiante,la sensazione,non si sa fino a che punto verace,che la realtà che fa da pressante cornice al nostro quotidiano sia irrimiediabilmente degradata,sordida,marcia fino alle fondamenta e incapace di rigenerarsi in modo salutare a nuova vita.In primo piano,la crudeltà,il dilemma,la tragedia dell'infanzia,tema ricorrente nella letteratura del '900 e sviluppato dallo scrittore in tutta la sua portata dolce-amara.I personaggi reali,quelli che ci sorbiamo ogni giorno attraverso i media,indicati con nome e cognome e gettati disinvoltamente nel calderone dell'intreccio,appaiono figurine ridicole di commedianti,incenerite dal contatto con una materia immensamente più tragica di loro.Da segnalare le gustose perifrasi acrimoniose con cui viene tratteggiato un popolare anchorman.Scurati non cela la sua origine accademica ed in molti passi sciorina compiaciuti sfoggi di erudizione e citazioni colte sovente stridenti.A dispetto del titolo dalle suggestioni escatologiche,e degli intenti pretenziosi,il libro non è la fine del mondo.
Uno dei più bei romanzi che io abbia mai letto. Una storia triste, dolente, meravigliosa, straziante, gioiosa. Quel bambino, il protagonista, è anche l'adulto, così avvinto dalla consapevolezza del male, che inquina l'amore, che sbrana le linee di sangue tra madre e figlio, che distrugge le vite impedendo al futuro di ricomporle. A ciò, si mescola, non soltanto sovrapponendosi ad esso, una spietata analisi della società moderna e degli ingredienti venefici che la compongono: la demagogia, il populismo, il razzismo, i pensieri bigotti, la stupidità. Se non bastasse, l'autore è un utilizzatore sapiente della lingua, della parola, della frase. Unico. Grazie di averlo scritto.
Recensioni
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Antonio Scurati, nato a Napoli nel 1969, è uno degli autori più promettenti del panorama italiano. Editorialista de La Stampa e opinionista televisivo, è anche un ricercatore universitario impegnato, coordinatore del Centro studi sui linguaggi della guerra e della violenza e autore di saggi e romanzi di successo (il suo romanzo d'esordio Il sopravvissuto ha vinto il premio Campiello nel 2006). Un autore immerso nei temi del dibattito attuale, che utilizza i suoi numerosi registri linguistici per affrontare uno degli argomenti più impegnativi della contemporaneità. Attraverso un pastiche di cronaca, articoli pubblicati sulla carta stampata, fiction e autobiografia, Scurati scrive un romanzo dedicato al circo mediatico italiano e al suo modo, infantile ed ossessivo, di diffondere il panico nella società.
La metafora del bambino che sogna la fine del mondo è un mezzo per descrivere la prospettiva attraverso cui i mezzi d'informazione vedono la società contemporanea: il terrore, il Male assoluto, non viene considerato come un fatto, da comprendere e superare, ma come un elemento indipendente dalla nostra volontà, quasi virtuale, da subire passivamente.
Nella sua immaturità ed inadeguatezza il mondo dell'informazione non persegue affatto l'accertamento della verità, non è importante l'effettivo verificarsi di un evento, è sufficiente l'incubo che la sua fantasmagoria può suscitare. Così può accadere che in una tranquilla cittadina del nord Italia, come Bergamo, un gruppo di maestre si associno per violentare i propri scolari, mentre la tv diffonde il virus del terrore e della diffidenza indiscriminata. Sarà il protagonista io narrante di questa storia, professore e giornalista, a schierarsi per primo dalla parte di Marisa Comi, la mamma di una delle piccole vittime. Parteciperà a Matrix, la nota trasmissione televisiva dove vengono avanzate le ipotesi e ricostruiti gli scenari; Massimo Gramellini, vicedirettore de La Stampa, lo incaricherà di dare notizia dei fatti sul quotidiano nazionale, mentre a Torino scoppia lo scandalo dei preti pedofili e a Bergamo una rom uccide con un colpo di ombrello una madre che la accusa di rubarle il figlio. Una giostra vorticosa di realtà e finzione, di cronaca e autobiografia, che lentamente si trasforma in una perfetta descrizione della genesi delle isterie collettive nel mondo contemporaneo. In questo impegnativo romanzo, i media generano i mostri di cui si nutrono, al punto che neanche lo sguardo lucido e implacabile dell'autore-protagonista riesce più a riconoscere i frammenti vaganti della realtà in frantumi.
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