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Non era certo facile ricostruire il dibattito politico, culturale e scientifico che ha accompagnato il lungo e complesso iter parlamentare della legge Merlin, nel decennio compreso fra il 1948 e il 1958: l'abolizione della regolamentazione della prostituzione investe infatti, inevitabilmente, una molteplicità di problemi relativi all'ordine pubblico, all'organizzazione sociale, alla sfera dell'etica, alle identità e alle relazioni di genere. Bellassai riesce assai brillantemente nell'impresa, attraverso l'individuazione di un preciso punto di vista, che, ricollegandosi al suo precedente percorso di ricerca, si riassume nel tentativo di definire le dinamiche di costruzione, affermazione e riproduzione del modello di mascolinità nell'Italia degli anni cinquanta. Fra i numerosi spunti di interesse del libro, due risultano particolarmente rilevanti. In primo luogo, entrambi i fronti (abolizionisti e regolamentisti) appaiono spesso accomunati, sul piano dei codici culturali, da convergenze non occasionali: la riluttanza verso i temi scabrosi della sessualità maschile; una percezione del corpo maschile come portatore naturale di pulsioni inconfessabili; l'affermazione di una titolarità normativa del maschile sul femminile; un'impostazione, infine, decisamente moralistica, che sacrifica la difesa laica della libertà dell'individuo sull'altare del sogno di un risanamento morale della società. In secondo luogo, il dibattito sulla legge Merlin testimonia ancora una volta del "lungo positivismo" che ha caratterizzato la cultura scientifica e giuridica italiana: di nuovo trasversalmente, sui due fronti, ritorna, infatti, il modello della prostituzione come "vizio di natura", conseguenza dello stato patologico della donna deviante.
Francesco Cassata
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