La veglia all'alba

"Il vero rito di iniziazione non è per entrare in società, ma per allontanarsene, dato il carattere disumano della società". Non c'è più contrastante e cristallino credo morale di questo, somma e sintesi etica più alta (e forse la più grande verità letteraria e umana), ed è un lascito che sgorga da solo dalle pieghe di questo meraviglioso racconto. Se l'innocenza cerca l'esperienza, l'esperienza è spesso il rimpianto dell'innocenza. Conflitto insanabile, e tuttavia conferma e solco del vivere sensibile, della diversità coltivata, del sogno e della chiamata a se stessi e di uno sguardo che sente oltre le latitudini comuni. Storia di un'educazione allo spirito, di un percorso religioso che sfiora i crismi del flagello, necessità e sfida a misurarsi col martirio del legno, fino a un'identificazione quasi soffocante che brucia e snerva nel corso della lettura. I limiti del divino in un cuore di ragazzo, gli aneliti traditi, il lucido ripensamento a tornare carne che tentenna, errore e colpa, in un registro personale che tenta l'irreale più splendido, ma in una virtù che non può esserne capace. E tuttavia scontro che diventa salvezza, fino a poter toccare dentro di sé la lenta pace che la rassegnazione offre nel far capire a chiunque che molte, tante e tante aspirazioni non giungono mai a realizzarsi, e che - forse - l'autenticità non è che la voce del nostro cadere costante. L'impossibile insomma d'essere il Cristo, un Cristo, nella potente felicità di amarlo pronta ad eccessi e a lotte contro ogni dimensione, fisica e non. L'immagine del serpente trafitto, nel finale, è la sostanza del coraggio inutile, la "satanica parodia di una risata in falsetto"; come un fermarsi e dire basta alle proprie inevitabili trafitture, Agee infilza il cuore umano col messaggio più alto, la morte di chi si addossò i nostri mali, restandone prigioniero e affascinato insieme, luce comunque "in un mondo in cui sembrano sopravvivere solo la meschinità, la pinguedine e la follia". Magnifico!