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Anno edizione: 2010
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Ottimo libro in cui Travaglio illustra e analizza le iniquità del giornalismo italiano con la solita pungente ironia e stile letterario. Trovo eccessiva l'enfasi sulla bontà del giornalismo americano, che non è esente da servilismo e faziosità sebbene in proporzione inferiore alla situazione italiana. Tuttavia si tratta di un saggio apprezzabile e utile da leggere.
Si tratta di un buon libro che denuncia miserie e debolezze, misfatti e corruzione del "sistema" giornalistico italiano descritto come uno dei più asserviti al potere politico in tutto il mondo occidentale. Nel nostro Paese, infatti, sembrano contare molto di più le opinioni (soprattutto quelle più compiacenti) che i fatti, a scapito del pluralismo e dell'imparzialità. Seppur con qualche asprezza ma con linguaggio esplicito e diretto, l'Autore divide, pertanto, i giornalisti in due categorie: quelli con le schiene dritte e quelli con le schiene curve, o quanto meno flessibili, quelli che scrivono per i propri lettori e quelli che scrivono per "altri". Saggio scorrevole e condito con sottile ironia; una lettura da non perdere.
Da leggere per capire un po di più l'Italia del nostro tempo.. consigliato.
Recensioni
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Il nuovo saggio di Marco Travaglio, che scrive su Repubblica, l'Unità e che ha già pubblicato diversi libri corrosivi sui potenti come Bananas, Intoccabili, o Le mille balle blu, si apre con un gustoso elenco, dedicato a tutti i giornalisti, di "C'è chi nasconde i fatti perché…". La serie dei vizi dei "pennivendoli" nostrani sembra scritta apposta per essere musicata (con un refrain alla Jannacci in "Quelli che…"): "C'è chi nasconde i fatti perché ha paura delle querele, delle cause civili, delle richieste di risarcimento miliardarie, che mettono a rischio lo stipendio e attirano i fulmini dell'editore… C'è chi nasconde i fatti perché altrimenti non lo invitano più in certi salotti... C'è chi nasconde i fatti perché così, poi, magari, ci scappa una consulenza col governo o con la Rai o con la regione o con il comune… C'è chi nasconde i fatti perché è nato servo…".
Travaglio ci parla dunque dello stato dell'informazione in Italia: un'informazione programmaticamente svuotata di contenuti, malata di revisionismo, corrotta, mercenaria, sostanzialmente menzognera. E c'è poco da stare allegri se, come sostiene l'autore, le lobbies che influenzano la libertà di stampa e che si oppongono al rispetto dell'oggettività dei fatti vanno da destra a sinistra, dai berluscones ai lottatori continui (gli ex di Lotta Continua), uniti dall'indulto e dalle battaglie per l'impunità dei corrotti, ma entrambi allergici ai fatti nudi e crudi e a chi li racconta senza remore di parte. Oggi la vera divisione tra i giornalisti non è fra destra e sinistra ma "fra schiene dritte e schiene curve, o quantomeno flessibili", sostiene Travaglio, richiamando l'invito di Montanelli a scrivere per i lettori, a parlar chiaro e a farsi capire da tutti, e non a scrivere in codice solo per chi ti dovrebbe capire.
Secondo Travaglio un maestro nell'arte del parlar d'altro per cancellare le notizie è ad esempio Bruno Vespa che, nelle sue trasmissioni quotidiane, riesce a eludere le notizie invise ai potenti con puntate di puro intrattenimento. Poi c'è il costume del "senti questo, senti quello" assai diffuso nelle redazioni dei giornali e che porta a sentire tutti su tutto e così a dare la parola all'inesperto di turno, facendola passare per verità. Il malcostume va dal parlare delle inchieste dei magistrati a prescindere dalle tangenti, agli articoli mai smentiti sulle armi di distruzione di massa di Saddam, agli allarmi sulla "pandemia" dei polli in arrivo dall'Asia. Travaglio mette il lettore in guardia da questo "Premiato Bufalificio Italia" e conclude amaramente, sostenendo che i giornalisti italiani stanno diventando non i "cani da guardia", ma i "cani al guinzaglio" del potere.
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