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Anno edizione: 2009
Anno edizione: 2009
Anno edizione: 2012
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Per dare una collocazione adeguata a questo eteroclito libro di Beppe Sebaste, vorrei appropriarmi della straniante categoria della poste en souffrance (letteralmente "posta che soffre") da lui evocata nel primo dei tasselli che (s)compongono questa raccolta. In Francia, per poste en souffrance s'intende l'equivalente del nostro vecchio, disusato fermo-posta, quel servizio cioè che consentiva di ricevere lettere negli uffici postali di ogni città. Questi testi eterogenei e voluttuari (nell'accezione etimologica del termine), concepiti o per commissione o per "capriccio", corrispondono per l'appunto nella loro disparata varietà a "oggetti smarriti" che "soffrono" per la mancanza di un destinatario ma forse anche di un mittente certo, dall'identità definita e risolta. Sono piuttosto brogliacci in progress, lettere in cerca d'autore tra Pessoa e Pirandello, messaggi in bottiglia abbandonati più al capriccio delle onde che alla remota possibilità di approdare in qualche riva.
Sono testi, infatti, legati alle occasioni o circostanze più differenti (l'inaugurazione di una mostra, un'inchiesta sul banco dei pegni piuttosto che sui rom o sui palloncini, mémoires su amici scomparsi e su epoche folgoranti e irripetibili, una canzone di Dylan e un'altra dei Beatles, foto e citazioni, frasi e fogliettini), che si caratterizzano proprio per la loro irrelatezza, per quella specie di meditata incompiutezza che li connota, a escludere un qualsivoglia rapporto di causalità o di tangenza. Unico tratto che li accomuna è il ductus cursorio con il quale sono stati scritti e che forse rappresenta l'aspetto (il groviglio?) più interessante di questa raccolta: sembrano cioè tutti scritti di getto, senza particolari ripensamenti o aggiustamenti, senza pentimenti o titubanze, più interessati a riprodurre la mobile capricciosità di un pensiero nomade più che la algida compiutezza di una scrittura progettata a tavolino.
Una scrittura franta e disuguale, a tratti persino febbrile e convulsa. "Protocolli d'esperienza", insomma, per dirla con l'autore. Una scrittura popolata da revenant e fantasmi (più azzeccato questo termine perché, nel linguaggio psicoanalitico, è il termine che indica il desiderio che vira verso l'ossessione) personali e collettivi. Ma, nonostante questo sia un libro essenzialmente di mancanze e di ferite, di lacerazioni e di mancamenti, ogni tanto balugina anche dei segnali che fanno pensare possibile una qualche forma di conciliazione: "Piacere di stare semplicemente nel mondo, di uno stato di consapevolezza del mondo la cui descrizione sarebbe un puro elenco delle cose di cui siamo coscienti, ivi compreso il nostro corpo e il respiro, il dentro e infuori, il visibile, l'udibile, il tattile, l'odorabile". Un libro volutamente senza centro né gravità, una scrittura che vuole imitare, per quanto possibile, l'impermanenza colorata ed effimera dei palloncini e dei mandala: "Come la paziente arte orientale del mandala, che una volta ultimato viene soffiato via. E poi un giornale dura forse più di un palloncino?".
Linnio Accorroni
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