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Anno edizione: 2008
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Un saggio da leggere. Di facile lettura, adatto anche a chi non conosce già la storia del movimento comunista. Manca però una parte iniziale che spieghi più compiutamente gli elementi essenziali del pensiero marxista-leninista. Adatto, quindi, ha chi ha almeno un'infarinatura del pensiero comunista.
Devo dire di essere abbastanza deluso dopo la lettura di questo libro. Spesso ripetitivo, prolisso. Accenna a fatti senza nemmeno far capire di cosa sta parlando. Esrmpio quando accenna alla fortezza di KRONSTADT. Non spiega i motivi x cui Kronstadt voleva continuare la RIVOLUZIONE con lo strumento drlla DEMOCRAZIA DIRETTA rappresentato dai SOVIET, che Lenin aveva esautorato il loro,"" potere"", centralizzando tutto quanto nel partito bolscevico nelle sue mani. Kronstadt si era ribellata xche 'voleva difendere la LIBERTÀ DI STAMPA E DI PENSIERO, voleva che si LIBERASSERO dalle carceri e dai Gulag i PRIGIONIERI POLITICI, in primis gli Anarchici, volevano difendere lo strumento di Democrazia Diretta e dal basso dei Soviet, CONTRO LA MILITARIZZAZIONE della società e delle fabbriche, contro il centralismo comunista che non accettava critiche o opinioni diverse,ecc.Questo non viene detto non viene spiegato. Si dice solo che Trosky, a capo dell Armata Rossa, dopo 15 giorni di spargimento di sangue la RIBELLE KRONSTADT, viene annientata. NON dice che vennero massacrati quasi tutti gli abitanti, che 80xcento dei comunisti presenti a Kronstadt avevano stracciato la tessera del partito. Non si dice che x gli ottomila che si sono arresi promettendo in cambio la vita, vennero fucilati sul posto e gli altri finirono nei GILAG. Non si fa accenno al TERRORE ROSSO dei KRIMINALI, Lenin e Trotsky. Oppure dove si parla dell'esercito contadino dell'anarchico N. MAKHNO, prima usato dai "rossi" x combattere e sconfiggere i bianchi, poi con i soliti VOLTAFACCIA dei comunisti, arrestati annientati xche' lottavano x difendere la loro autonomia e le loro Libertà. Chiamati banditi, x ché non accettavano il potere Leninista. Riferimento ai nostri partigiani, chiamati pure loro vanditi dai nazifascisti. Poi delle FALSITÀ alimentate dalla propaganda bolscevica. N. MAKHNO non era antisemita, come non lo sono gli anarchici. Nel esercito di MAKHNO combattevano alcuni reparti di ebrei e faceva fucil
Eccellente, da leggere senza dubbio!
Recensioni
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Robert Service è autore, tra l'altro, di un'ottima storia dell'Unione Sovietica, di una biografia molto autorevole di Lenin e di un'altra di Stalin, ha curato con Silvio Pons il Dizionario del comunismo nel XX secolo. Insomma, verrebbe da dire, nessuno più di lui era indicato a scrivere una storia generale del comunismo. Eppure il risultato non è all'altezza delle aspettative. In termini interpretativi non ci dice quasi nulla di nuovo. È una narrazione, certamente chiara e piana, che si disperde però per i tanti rivoli della cronaca senza trovare un filo unitario. Solo pochi capitoli si segnalano, con notazioni originali, per la capacità di restituire un clima complessivo: tra questi quello sull'ideologia dello stalinismo e ancor più quello intitolato Amici e nemici, sulle ragioni della fascinazione esercitata dall'Unione Sovietica sugli intellettuali dell'Occidente.
Il libro conferma però l'opinione che scrivere la storia del comunismo al singolare sia, lungo l'arco di un secolo, un'impresa molto difficile. E infatti resterà in buona parte deluso chi abbia preso troppo alla lettera l'ambizioso sottotitolo italiano di "storia globale". Del comunismo fuori d'Europa prima del 1945 (persino dell'esperienza cinese negli anni venti e trenta) si trova appena una pallida traccia, con l'eccezione di un bizzarro capitolo diacronico sugli Stati Uniti, che si inserisce come un cuneo nella narrazione altrimenti sempre ordinata con un criterio strettamente cronologico. Molto di più, e spesso con equilibrio ed efficacia, è detto della Cina dopo il 1949, o della Cuba castrista. Ma ha poco senso ricondurre nell'alveo della storia del comunismo la tragica esperienza di Unidad popular in Cile, se non forse per dimostrare la tesi – che è uno dei cavalli di battaglia dell'autore – che il comunismo in qualunque forma non era suscettibile di sopravvivere se non grazie alla violenza e alla sopraffazione, e che qualunque tentativo di uscire da questa logica era inevitabilmente votato all'insuccesso.
Soprattutto, si conferma molto difficile ricomprendere in un'unica storia e in un'unica chiave di lettura le vicende dei partiti comunisti al potere – già tra loro molto più diverse di quanto non emerga dal libro – e quelle dei partiti comunisti che restarono sempre, salvo brevissime parentesi, all'opposizione. Con i primi Service ha chiaramente maggiore dimestichezza, e ne scrive in genere in modo abbastanza equilibrato e convincente; nei confronti dei secondi, invece, non riesce a non tradire qua e là la sua irriducibile antipatia. Viene alla mente un'osservazione molto pungente di Hobsbawm, vecchia di quarant'anni, ma ancora attuale, a proposito di quella tendenza della storiografia che dei partiti comunisti tratta come "organismi minacciosi, coercitivi, potenzialmente onnipresenti, per metà religione e per metà complotto, che non potevano avere una spiegazione razionale perché non vi era alcun motivo ragionevole di rovesciare la società liberal-pluralistica" (I rivoluzionari, Einaudi, 1975). Service, per la verità, nelle ultimissime pagine, non lesina giudizi obiettivi e severi (anche se condensati in poche righe) sui misfatti perpetrati dal capitalismo nel XX secolo. Ma in tutto il libro – soprattutto nella prima metà – la tendenza ad analizzare il movimento comunista, per citare ancora Hobsbawm, "in base alla psicologia sociale della devianza e alla teoria della storia come cospirazione", prende spesso prepotentemente il sopravvento. E il lessico ne è la rivelazione più evidente. L'appello di Lenin ai partiti socialisti perché durante la prima guerra mondiale si impegnassero per rovesciare i rispettivi governi altro non era che espressione di "eccentricità fanatiche". L'apparato del Comintern non sarà magari stato, come si autorappresentava, lo "stato maggiore" della rivoluzione mondiale, ma definirlo "microfauna" sembra un po' eccessivo. Né presenta alcuna rilevanza per il lettore la notazione (di sapore vagamente lombrosiano) sul fatto che Bela Kun fosse "basso e tarchiato".
Le citazioni che tradiscono questa forte avversione per l'oggetto del proprio studio, che si potrebbero moltiplicare, non si possono comunque più di tanto rimproverare all'autore: sono, in fondo, una dichiarazione esplicita della sua posizione, che è un atto di onestà intellettuale. Non si possono però passare sotto silenzio i non infrequenti errori di fatto in cui incorre. Se sbagliare l'anno di nascita di Stalin può essere una svista perdonabile (anche se singolare in una storia del comunismo), è semplicemente falso affermare che nell'Italia "saldamente sotto il controllo della dittatura fascista" i comunisti "stavano a guardare e restavano in attesa". Per molti sarà poi una sorpresa apprendere che "Gramsci fondò un Istituto di cultura proletaria" (forse si tratta più modestamente del "gruppo di educazione comunista" che sotto la sua guida operò nella Torino del biennio rosso). E ancor più lo sarà venire a sapere che lo stesso Gramsci fu picchiato dai compagni in carcere per aver criticato Stalin quando nel 1936 fu giustiziato Zinov'ev: a quell'epoca si trovava già da un anno in libertà condizionale nella clinica Quisisana, e già dal dicembre 1933 si trovava in stato di detenzione nella clinica Cusumano di Formia, luoghi dove è improbabile si potessero introdurre degli energumeni comunisti animati da cattive intenzioni. Né sembra possibile sostenere che il Pcf (il quale nel luglio del 1935 aveva concluso, per Service, un patto non con i radicali, ma con "i liberali"), al momento del patto tedesco-sovietico del 1939, fu scarsamente turbato da "tensioni interne", quando ben ventisei dei suoi settantasei deputati abbandonarono le sue file.
Qualche osservazione meritano i capitoli finali del libro, che pure forniscono un'esposizione molto chiara e complessivamente equilibrata degli avvenimenti. Service sembra non nutrire dubbi sul fatto che tra il 1989 e il 1991 "la Rivoluzione d'Ottobre, il marxismo leninismo e l'Unione Sovietica siano stati gettati tra i rifiuti della storia". Chissà se – nei tempi alquanto tormentati che viviamo, in cui alcune centinaia di miliardi escono dal bilancio degli stati per salvare dal fallimento le imprese e le banche che hanno prosperato nel ventennio del neoliberismo – lo storico inglese sarebbe altrettanto drastico nell'usare un termine così tranchant a proposito, per esempio, del famoso assioma di Reagan "lo Stato non è la soluzione, è il problema". Certo, si può condividere la sua conclusione che è improbabile che il comunismo possa ripresentarsi nel XXI secolo nelle forme che un tempo ha assunto nell'Unione Sovietica o nella Cina maoista: anzi, si può aggiungere che le sue sopravvivenze ed eredità, pur non irrilevanti, hanno perso la capacità di rappresentare una sfida e un'alternativa storica al sistema economico capitalistico. Che però "le idee, le istituzioni e le prassi totalizzanti del marxismo-leninismo" possano "subire mutazioni e diffondersi come un virus che reagisce ad ogni tentativo della scienza medica di isolarlo e di neutralizzarlo" fino addirittura al punto di aver influito sui programmi islamici di Osama bin Laden sembra la conclusione azzardata e tendenziosa di un libro non riuscito.
Aldo Agosti
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