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Anno edizione: 2008
Anno edizione: 2015
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"In principio" era Petrarca. Così Lina Bolzoni inizia a presentare i tanti aspetti di un ricco, complesso e variegato rapporto, quello del ritratto con la poesia e con la pittura. I due sonetti sull'immagine di Laura che Simone "ritrasse in carte" hanno legato strettamente poesia e ritratto figurato e stabilito per secoli un modello ineludibile per ogni poeta che del ritratto volesse scrivere. E nei tempi in cui pittori come Piero della Francesca e il Ghirlandaio, Giovanni Bellini e Giorgione, Tiziano, Leonardo e Raffaello resero in modo sfolgorante e indimenticabile i volti e le persone di donne bellissime e di potenti signori, non furono pochi né poche (nel Cinquecento le poetesse abbondano) a farlo: da Lorenzo de' Medici all'Aretino, dal Castiglione al Tasso, al Marino, da Gaspara Stampa a Laura Battiferri, l'"altero rettile" dipinto da Bronzino nel ritratto ora in Palazzo Vecchio. Centinaia di sonetti (lo esemplifica l'antologia di testi ottimamente commentati da Federica Pich) furono dedicati ai ritratti, a coloro che li avevano creati, che li avevano richiesti, che vi erano effigiati.
Il poeta che scrive di un ritratto dipinto o scolpito partecipa, da una posizione non neutrale, al paragone tra le arti e si trova immediatamente davanti a un primo dilemma: chi meglio riesca a rappresentare la donna amata, il principe, l'amico? La pittura sembra avere più chance, ma è desolantemente priva della parola. Chi si rivolge a lei non avrà risposta. I versi del Petrarca: "Ma poi ch'i vengo a ragionar co-llei / benignamente assai par che m'ascolte / se risponder savesse a' detti miei" pesano imperituri nella contesa pittura-poesia. L'immagine cui si rivolgono gli sguardi, i pensieri, gli elogi, le invocazioni è muta e non vi è un artefice in grado di animarla (ancora Petrarca: "Pigmalïon quanto lodar ti dêi / de l'imagine tua, se mille volte / n'avesti quel ch'i sol una vorrei") se non, appunto, il poeta. "Ma perché è cosa muta la pittura" scrive AntonioTebaldeo a un amico anch'egli poeta cui spedisce insieme all'immagine dipinta alcuni testi "agiungendo la voce a la figura / alligato ho cum lei certi fragmenti / che per Flavia già scrissi sospirando / aciò me vedi e che parlar me senti".
Irraggiungibile vuoi per la sua perfezione ultraterrena ("Ma certo il mio Simon fu in paradiso / onde questa gentil donna si parte / ivi la vide"), vuoi perché socialmente troppo elevata (se fu quello della duchessa di Urbino, Elisabetta Gonzaga, il ritratto di "bellissima e principalissima Signora, di mano di Rafael Sanzio di Urbino" ad aver suscitato: "quel chiaro fuoco / ch'acceso da desio più che speranza / nel cuor del Castiglion mai non fu estinto"), vuoi perché impedita da vincoli familiari ("vi mando el retrato che non sta bene, pur vi lo racomando" scrive al Bembo Maria Savorgnan), la donna amata è il soggetto più scottante, ricorrente e variamente trattato.
Nel complesso gioco di specchi tra la realtà e la sua immagine, il pittore e il poeta sembrano giocare a rimpiattino gareggiando vicendevolmente tra loro e con un terzo protagonista, Amore che incide l'immagine dell'amata nel cuore dell'amante sì che costui "l'uno in camera tien, l'altro nel core", come scrive l'Aretino immaginando una sfida tra Tiziano con il suo pennello e Amore con le sue frecce: "Furtivamente Tiziano e Amore / presi in mano i pennelli e le quadrella / duo essempi han fatto d'una Donna bella". Ma la poesia, che celebra e rende omaggio alla donna, al principe, all'amico, rimarrà a conservare la memoria del ritrattato anche quando il cuore in cui era impressa l'immagine non batterà più, quando la pittura corrosa dal tempo sarà sparita: "quando scrive il Castiglione il tempo che il ciel con gli anni gira / havrà distrutto questo fragil legno".
Lina Bolzoni dipana questo intrico con estrema finezza, restituendo con un'acuta e sapiente lettura dei testi usi funzioni e luoghi dei ritratti, inattesi per chi sia abituato a vederli esposti senza distinzioni sulla nuda parete di un museo.
Una grande differenza separa infatti il ritratto ufficiale, lo state portrait, da quello privato. Al primo si richiede di rappresentare pubblicamente e di magnificare il ritrattato attraverso i simboli, gli attributi del potere, il portamento solenne, la maestà, ed è pertanto destinato alle sale d'apparato e agli occhi di molti, al secondo, destinato agli occhi di pochi o di un solo, si richiede al contrario di essere in mille modi protetto celato o allusivamente rivelato ai pochissimi che sappiano intenderlo. Molti i modi per celarlo o per rivelarlo: la tavola dipinta nascosta da un coperchio scorrevole, da una custodia di stoffa o, ancora, occultata entro un mobile, o "dietro un grande e bellissimo specchio che si poteva aprire e chiudere da chi sapeva l'artificio", come quello cui allude Baldassar Castiglione nei sonetti detti appunto "del Specchio", mentre attributi, motti e imprese servono svelare per aenigmata nomi, virtù e qualità del personaggio.
Il rapporto tra poeti e pittori, rivelatore del rango che l'antica arte meccanica aveva ormai assunto nella società italiana (ciò che Dürer aveva scoperto a Venezia e l'aveva spinto a scrivere a Pirkheimer: "Qui sono un signore, in patria non sarò che un parassita"), si manifesta in molti modi. Se il poeta, prendendo posizione nella disputa sul ritratto, partiva da una situazione sociale che da tanti secoli era assai più alta di quella dell'artista, le nuove capacità della pittura li pongono per la prima volta sullo stesso piano. Pietro Aretino dedica sonetti ai ritratti di Tiziano, e Sperone Speroni commenta: "Non è facile giudicare se li sonetti son nati dalli ritratti o li ritratti da loro; certo ambidui insieme cioè il sonetto e il ritratto sono cosa perfetta: questo dà voce al ritratto, quello all'incontro di carne e d'ossa veste il sonetto". Enrico Castelnuovo
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