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La CDU (Cognitive Development Unit) londinese, da cui proviene pure la Frith, ha formulato due diverse ipotesi sull’autismo: quella d’un deficit nel comprendere lo psichismo altrui, esaminata ora con metodiche di neuroimaging che chiamano in causa i neuroni specchio (o mirror), e quella d’un persistente DDC (Deficit di Coerenza Centrale, "weak central coherence"), che attesterebbe la cronica incapacità innata d’integrare eventi, emozioni, concetti, esperienze: un deficit originario d’integrazione ideoaffettiva, vale a dire sia sul versante cognitivo, conoscitivo, epistemico, sia sul versante motivazionale, volizionale, valutativo. Quest’ipotesi alternativa è stata formulata proprio dalla Frith, e anche lei si sta dedicando ai test con tecniche d'imaging per cercare conferme di tipo neurobiologico. Le due ipotesi si differenziano in un aspetto essenziale: gli stessi autori della suddetta scuola si premurano di precisare che sarebbe più opportuno parlare d'un "continuum" etichettabile come Disturbi dello Spettro Autistico, poiché "L'autismo insomma si manifesta con la presenza di tratti [...] che possono essere riscontrati, seppur in forma lieve, anche in molte persone normali" (L. Surian, 2005, p. 19). Detto altrimenti, l'autismo andrebbe ridefinito come uno spettro continuo di maggiore o minore gravità nei sintomi, dai casi di disturbo invalidante fino a un'epidemiologia che termina in un'antropologia universale, alla maniera della nevrosi e della psicosi come psicopatologie quotidiane rispettivamente della prima e della seconda metà del '900. Al primo polo dello spettro sarebbe valida l’ipotesi neurobiologica d’una compromissione SPECIFICA dei neuroni mirror, al secondo polo andrebbe invece applicata l’ipotesi neurobiologica proposta dalla Frith, ASPECIFICA e generalizzabile all’intera condizione umana. Nelle parole della prefazione di Mecacci: “l’architettura cognitiva non è data in forma compiuta alla nascita” (p. VIII), e non è detto che qualcuno sia ancora mai giunto a tale “architettura compiuta”.
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