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Anno edizione: 2011
Anno edizione: 2023
Anno edizione: 2023
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Un libro ricco ed intenso. Non è solo la presentazione di un progetto, ma anche di come il progettare debba essere necessariamente contestualizzato in un territorio geografico e in un territorio di persone. Emerge la cultura, la quotidianità e le prassi dei quartieri napoletani attraverso i vissuti dei ragazzi e del progetto. È una scuola che va oltre la mera trasmissione dei contenuti, coinvolgendo i ragazzi pensati senza futuro, rendendoli protagonisti e costruendo un percorso al di fuori delle "nicchie", come afferma Melazzini, mostrando e attraversando la bellezza dei mondi possibili. Consigliato a tutti, ma soprattutto ad insegnanti, educatori, educatrici.
bellissmo spaccato di vita/educazione, della difficoltà di comprendere che non partiamo tutti dalla stessa linea di start, sfatare il mito della buona volontà e lavorare sugli ambienti per non perdere vite sche si sfracellano perchè nate nel contesto sbagliato
Un testo che ho ripreso in mano in più occasioni, per la chiarezza, la densità e l’autenticità delle sue pagine. L’autrice è stata una delle “maestre di strada” nei quartieri periferici di Napoli e per undici anni ha offerto ai ragazzi, che vivono situazioni di forte disagio sociale, la possibilità di terminare la scuola dell’obbligo. Il progetto educativo "Chance" nasce da una relazione costruita giorno dopo giorno, fondata su reciprocità e ascolto. Un ascolto che si sveste di pregiudizi e sa restituire agli adolescenti i significati e il diritto-piacere di esprimersi, accompagnandoli a superare la logica del ghetto, della violenza, della sudditanza. Le storie di vita si si intrecciano a riflessioni sulla società, sulla disuguaglianza, sul rifiuto della scuola, sull’insegnamento, su una educazione che perde i suoi ragazzi quando funziona a senso unico. Il libro è uscito alle stampe postumo, perché Carla Melazzini è scomparsa prematuramente e il marito Cesare Moreno ne ha curato l’edizione.
Recensioni
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Chi era Carla Melazzini? "Una persona riservata e diafana", determinata, secondo il commosso ricordo del marito, Cesare Moreno, "ad affermare la propria identità contro ogni tentativo di cucirle indosso un vestito", "una delle poche persone, se non l'unica, ad abbandonare la Scuola Normale di Pisa di sua volontà e per dichiarata incompatibilità con un modo di fare cultura che sentiva lontano dal reale". Inevitabile, quindi, in quest'ottica di scavo nella realtà con gli strumenti della cultura, che un percorso nutrito di coerenza abbia condotto Carla Melazzini (scomparsa circa due anni fa) nella zona ai margini rappresentata da una scuola speciale di uno dei quartieri più popolosi e popolari di Napoli, in quello che per i giornali (di cui il libro riporta agghiaccianti stralci di cronaca) è il triangolo della morte governato dalla camorra.
Per il lavoro scelto Melazzini si impose (e il libro lo dichiara a più riprese con forza) l'abbandono di un ruolo e di un metodo e la ricerca di un "modo" che consentisse di incidere, all'interno del progetto "Chance", sulle vite fragili di adolescenti che non erano riusciti a completare il percorso di studi della scuola dell'obbligo. Il rovesciamento di prospettiva fu totale, come spiega l'autrice stessa parlando dell'apprendistato di un gruppo di insegnanti e di dialogo educativo alla vita: "Un insegnante di media cultura e umanità è presumibilmente disponibile a commuoversi sul dramma del giovane principe di Danimarca, e a riconoscere le ragioni dei suoi atti, anche i più estremi. Ma quanti insegnanti sarebbero disposti a riconoscere la stessa legittimità ai sentimenti di un adolescente di periferia che vive il tradimento della propria madre con l'intensità e la consequenzialità del principe Amleto?".
Allora, se senza pietismi o sentimentalismi o retorica l'apprendistato si sposta dallo studente all'insegnante (che deve continuamente negare il già noto e reinventarsi nell'osservazione attenta degli adolescenti), le esperienze del progetto "Chance" diventano significative non solo per i docenti di ogni ordine, grado e contesto sociale, ma anche per i cittadini costretti a fare i conti con riflessioni importanti per la società e i suoi valori. Come non meditare, per esempio, sul concetto reso pregnante da chi ci governa da decenni di "guadagno secondario"? Tale guadagno, che si materializza nell'accumulo di beni di consumo, come cellulari, giochi elettronici e televisori, è l'effetto di una rinuncia al guadagno primario (della formazione culturale o del corso di nuoto per i propri figli) che discende da una precisa consapevolezza della propria miseria e fragilità: "A chi tocca la prima mossa in quella in questa difficile partita? Probabilmente a una società che fosse civile, quindi persuasa che la cultura senza specificazioni, intesa prioritariamente come fiducia nella proprie capacità di conoscere, è un guadagno primario di valore assoluto, per i propri cittadini e per se stessa".
Ma alla società poco importa di quei ragazzi "fuori" e l'insegnante deve registrare progressivamente la trasparenza dei suoi studenti e il fastidio che la loro presenza suscita nella scuola (quando, per esempio, il disprezzo dei bidelli li ricaccia nella disistima di sé), per strada (dove un mondo di vecchi guarda con fastidio al gruppo di ragazzi in uscita) e spesso nelle famiglie, in cui paradossalmente si tende a lavorare nella direzione opposta al successo del figlio: "Qual è la colpa delle maestre? Pretendere che i bambini riescano. Perché è una colpa? Perché il successo dei bambini sarebbe la dimostrazione del fallimento dei genitori (
), quindi abbasserebbe oltre il limite tollerabile il già scarso rispetto che essi hanno di sé. Occorre dunque che le colpe dei genitori ricadano sui figli, di generazione in generazione".
In un simile contesto, come è possibile che questa insegnante ostinata discesa a Napoli dalla Valtellina non sia stata presa da scoraggiamento? Il segreto sta nella considerazione che lei stessa fa sulle radici delle piante delle sue valli alpine destinate a resistere e a espandersi. È un continuo lavoro nella direzione dell'umiltà e della consapevolezza e contemporaneamente in quella della rinuncia a sé: se un ragazzo esibisce il proprio sesso disteso sui banchi non lo fa per offendere la donna che c'è nella propria insegnante, ma per contraddire la voce diffusa nella scuola sulle modeste dimensioni del proprio pene. La ricostituzione del gruppo dei pari è un tratto importante nell'ambito del progetto "Chance", che coinvolge "anche quei ragazzi e non sono pochi che sono fuggiti alla scuola soprattutto perché incapaci di sostenere le tensioni e i conflitti interni al gruppo dei coetanei".
Il volume è ricchissimo di indicazioni preziose, di avvertenze per l'uso del mestiere di insegnante (che troppo spesso segue le sue idee di sé, del proprio lavoro, della cultura e della cosiddetta "utenza" della scuola). In poche pagine vengono raccontate vite destinate all'oblio (nell'ambiente che già avevano descritto i registi D'Ambrosio e Di Biasio nel film Pesci combattenti del 2001 e la scrittrice Paola Tavella nel libro Gli ultimi della classe edito da Mondadori nel 2000), si ragiona sull'uso del dialetto come antilingua giovanile che rafforza i legami del gruppo, sul valore delle immagini fotografiche, sulla valenza della rappresentazione teatrale (ché questo e non altro è in verità la giornata tipo in un'aula scolastica, con la differenza che bisogna anche maneggiare gli strumenti per ricondurre a un ordine tutti i rimossi e i conflitti emersi nel gioco della finzione).
Insegnare al principe di Danimarca è destinato a diventare un classico, come quella Lettera a una professoressa a cui si pensa costantemente, leggendolo, e con cui il libro condivide il tono del racconto di una verità lungamente taciuta. Alcune pagine andrebbero lette all'inizio di ogni anno scolastico, se le riunioni di insegnanti avessero anche la forza (al di là dell'appiccicume burocratico) di stabilire delle linee guida di lavoro o dei temi di riflessione. Illuminante la difesa della metafora come arma contro la potenza paralizzante della scuola ed evidente il rifiuto della moda strutturalista della dissezione del testo per cercare la fabula e l'intreccio e le funzioni di Propp: "L'incontro con il libro è un evento personale, intimo, di cui l'insegnante deve farsi mediatore. Basta una pagina, ma la lettura deve essere ad alta voce, ed espressiva, e chi legge deve trasmettere un evidente piacere". Monica Bardi
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