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Anno edizione: 2013
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Libro che offre un'analisi storica molto approfondita dei fatti accaduti quella notte. A tratti difficile nel descrivere la complessità delle vicende giudiziarie che seguirono, molto interessante quando prevalgono le considerazioni personali dell'autore, in particolare negli ultimi capitoli. Segnalo il capitolo I rischi della verosimiglianza. Palermo 1985, dove si narra di un meno noto episodio della nostra storia recente.
Non mi ha entusiasmato. Indubbiamente è interessante rivedere le incongruenze ed i comportamentei deviati della nostre istituzioni nella storia dell'anarchico Pinelli, ma districarsi nell'artificioso e pedante linguaggio dei tribunali è sovente di una noia mortale. Chiaro l'intendimento di Sofri di mostrare intere le contraddizioni del Sistema Italia (di allora), ma anche lui risente nello stile dello sfogliare e risfogliare le pagine degli atti processuali.
Oltre alla documentata storia del povero Pinelli, mi ha colpito, come sempre, la grande umanità, supportata da un'intelligenza sopraffina, (accostamento così raro tra gli uomini!) di Adriano Sofri. Tanto più che la vicenda che ricostruisce in questo libro lo coinvolge pesantemente, sia nei fatti accaduti all' epoca, sia nell' attualità. Una grande lucidità e dignità, gli permette di chiedere scusa alla famiglia del commissario Calabresi per le parole feroci apparse sulle pagine di "Lotta continua" ( peraltro non scritte da lui, ma essendo egli il responsabile...) che travisate da qualche mente violenta ne hanno provocato l' assassinio, continuando comunque a dichiararsi innocente per il delitto per cui è stato condannato. La cosa più sorprendente però, è il fatto che Sofri riesca ad accettare, ancorchè innocente, di scontare la sua pena. Forse in un paese dove tutti gli indagati o i condannati si dichiarano innocenti, in un paese che non conosce il sentimento della vergogna, il vero colpevole è chi lotta con la forza delle idee, chi non cerca scorciatoie processuali, non si affida ad avvocati cavillosi e con pochi scrupoli, chi combatte le ingiustizie rimanendo fedele alla legalità e alla sua dignità di essere umano. E mi viene in mente Beppino Englaro, che ha voluto sottoporre al dibattito pubblico la tragedia di Eluana e della sua famiglia, potendo invece risolverla in silenzio come accade ogni giorno nei nostri ospedali o luoghi di cura. Non so se la legge sia uguale per tutti, è certo però che per qualcuno, pochi purtroppo, è la base di un paese civile. Tutta la mia ammirazione.
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Adriano Sofri, ex leader di Lotta Continua condannato nel '97 come mandante per l'omicidio del commissario Luigi Calabresi (insieme a Leonardo Marino, Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani), ha scritto un libro importante, che fa già molto discutere, sulle vicende che hanno segnato la sua esistenza e la vita di un'intera generazione. Sofri riscrive i fatti del 15 dicembre 1969, di quella notte che Pinelli entrò vivo in una stanza di polizia e ne uscì morto, tre giorni dopo la bomba di piazza Fontana a Milano. L'inizio della "strategia della tensione", poi la campagna condotta da Lotta Continua contro Calabresi tra il 1970 e il 1972: Adriano Sofri scrive che quello "fu un linciaggio moralmente, ma non penalmente, responsabile"; ribadisce che "se qualcuno traduce in atto quello che anch'io ho proclamato a voce alta, non posso considerarmene innocente e tanto meno tradito. Di nessun atto terroristico degli anni '70 mi sento corresponsabile. Dell'omicidio Calabresi sì, per aver detto o scritto, o aver lasciato che si dicesse o si scrivesse «Calabresi sarai suicidato»".
Il racconto di quegli anni parte dal pomeriggio del 12 dicembre 1969, il giorno della strage di piazza Fontana. Questore di Milano era Marcello Guida, il capo dell'ufficio politico era Antonino Allegra, Luigi Calabresi era un funzionario giovane e moderno. Dopo gli attentati si procedette agli arresti degli anarchici: una pista rivelatasi alla fine falsa. Tra loro c'erano il ferroviere Giuseppe Pinelli e Pietro Valpreda, un ballerino che si paragonava ai bombaroli dell'800 francese. Calabresi era convinto che l'attentato avesse quella matrice, anarchica. Sofri nega che, come sostenuto da alcuni, Calabresi e Pinelli fossero "quasi amici": sostiene che Pinelli fosse stato intercettato, pedinato, da tempo sospettato; che alla Questura fosse stato privato del sonno; che si volesse incastrarlo ("le pressioni da Roma erano molto forti") anche in relazione ad altri due attentati del '69, nell'agosto e nel settembre, ai convogli ferroviari. Poi ricostruisce le varie versioni della caduta dalla finestra. Colpisce il fatto che l'orario della tragedia venne cambiato nel corso degli anni e delle inchieste. Prima la mezzanotte, poi versioni cambiate, fino ad arrivare alle 19,30. La ricostruzione fa capire che il commissario Calabresi, in quella stanza, come scritto dal figlio Mario nel libro Spingendo la notte più in là, non c'era. Ma Sofri confessa di non sapere come è morto l'anarchico. Non mancano le critiche al giudice Gerardo D'Ambrosio, titolare di una delle inchieste ("D'Ambrosio voleva chiudere, si era fatto tardi"), e le riflessioni sul clima di profonda violenza di quell'epoca ("non del terrorismo cui fui estraneo e nemico"). In quegli anni c'era un vasto schieramento politico-sindacale che agiva nella cornice della democrazia "borghese", ma che continuava a parlare un linguaggio sovversivo. Quella sinistra ufficiale, con la sua doppiezza, creò un divario enorme tra la teoria e la pratica, tra l'aspettativa e l'azione. Per quel motivo, secondo Sofri, la sua generazione si incamminò sulla strada della violenza politica e dell'iniziazione rivoluzionaria.
La notte che Pinelli è una ricostruzione in prosa, dalle carte legali, dagli atti dei tanti processi, degli anni dell'Italia dal '69 al '72: 283 pagine, di cui 36 di note, nelle quali Sofri scrive come in una messa in scena teatrale, un dramma - l'elenco delle persone e i ruoli da esse ricoperti. Da questo monologo, in cui l'autore risponde alle domande di una ventenne che di quella storia sa poco o niente, emerge una storia intensa e difficile, ancora intrisa di dubbi e rancori mai sopiti.
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