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Quando internet non c'era - Angelo Morino - copertina
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Quando internet non c'era

Descrizione


Angelo Morino, coltissimo ispanista, sensibile traduttore, scrittore, segugio editoriale di scrittori di lingua spagnola e non solo, nella vita era una specie di Jean Genet, un intreccio inestricabile di vita e arte; o un'altra incarnazione di Querelle de Brest, il personaggio genetiano dalla filosofia dissoluta. Ma un Genet-Querelle la cui sete di vita e di mettersi alla prova erano rese intellettualmente rilevanti e culturalmente produttive dall'attività di ricerca letteraria. Così, per Morino, fare ricerca, essere professore universitario, era tutt'altro che seppellirsi in biblioteca e frequentare convegni: al contrario, cercava libri e scrittori con lo spirito audace del vagabondare per i porti. Lo incoraggiavano, in questo correre sul filo, gli anni più liberi e sperimentali in cui visse la sua gioventù, e l'omosessualità mai nascosta. Questo libro è stato trovato nel suo computer, dopo la morte improvvisa avvenuta nel 2007 a cinquantasette anni. Racconta la sua vita, dalla scoperta dell'amore per la letteratura, intersecata nelle note con delle miniature dei personaggi incontrati. Un diario intimo che svela un uomo che si sentiva più esploratore che studioso; che considerava la traduzione un mezzo per capire l'altro; che non riusciva mai a separare le pagine dalla vita di chi le aveva scritte; che cercava sempre, nei testi vivi come in quelli morti, la verità esistenziale di cui dovevano racchiudere la testimonianza sincera.
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Dettagli

2009
30 aprile 2009
240 p., Brossura
9788838923227

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Francesco Benzi
Recensioni: 5/5

Si comincia a leggere come una storia di amore per la lettura, di attrazione per il nome misterioso di una scrittrice cilena. E si scopre infine un esempio quasi inatteso di "nuovo romanzo", nuovo modo di raccontare; originale proprio nella sua struttura, da seguire secondo l'AVVERTENZA che invita a leggere prima il testo e poi le note. Si crea così una sequenza di crescente intensità. Ma non è solo nello stile che Morino rivela un'opera estrema, in tutti i sensi: la sua ultima, una autobiografia a volte reticente, a volte imbarazzante. E mai titolo trova una corrispondenza più perfetta. Abbiamo perso qualcosa con Internet?

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Voce della critica

In copertina: dalle pagine di un libro fuoriesce il ritratto di una figura femminile con un libro tra le mani. L'immagine è ben scelta: nel romanzo autobiografico di Morino, rintracciato nel computer dopo la sua morte improvvisa nel 2007, c'è un filo sotterraneo, è l'indagine tesa lungo gli anni dell'opera di Marìa Luisa Bombal, la scrittrice cilena che diventa fin dalle prime pagine l'icona di una quête così intensa da annullare "ogni distanza tra il soggetto e l'oggetto della ricerca". Citati in coppia, due titoli di Bombal punteggiano il testo (La ùltima niebla e La amortajada), intarsiando la narrazione di cifre e suoni che alludono, "sotto la parola", alla consonanza di un lutto esistenziale. Sono libri a cui Morino traduttore – e anche editore – darà voce italiana, spinto da una visione di letteratura come "sconfinato cimitero di donne morte, sorelle, spose, spose sorelle, madri-bambine". E già s'intravede il taglio critico dello studioso, di uno tra i massimi esperti dell'area iberoamericana: i suoi sono autori raggiunti oltre il "sudario" della scrittura, sono uomini e donne da catturare nella vita per svelarne il risveglio della carne, i sogni, l'invenzione e la nostalgia in un continuo dialogo con la propria esperienza.
Si articola così in Quando internet non c'era la rivendicazione di una saggistica che, complice il femminismo, attraversa con i sensi in allarme il vissuto sotteso all'opera, radicandosi in una dettagliata ricostruzione biografica degli autori presi in esame. Autori come personaggi in cui il critico a sua volta si fruga e si riconosce. Si intuisce allora che i titoli di Bombal hanno qui funzione di amuleti lungo la via di quella vasta ricerca letteraria che conduce Morino prima a Barcellona poi in America Latina, fino a Rio e al "grande cielo" di Buenos Aires. "M'interessa scrivere libri partendo da altri libri" – dirà Morino in un'ultima intervista, nel giugno del 2007.
Quando internet non c'era ha una partitura binaria: un corpo principale, ritmato dalle pause, e un'appendice di "note", in realtà un secondo piano narrativo, come una galleria di ritratti in ombra da cui si dipartono altri rivoli, sguardi, voci. L'incipit rievoca gli anni settanta, l'io autobiografico è un ragazzo omosessuale, un giovane ladro di libri oriundo della Val di Susa, in fuga da un mondo di provincia che lo nega e da una madre che gli brucia i manoscritti sospetti. Lettore accanito, trova a Torino un primo approdo nello studio e in Cesare, il maestro, una tutela accademica. Gioca scoperto, Morino, nel romanzo non usa pseudonimi nemmeno quando rivela le altrui pulsioni del sangue – e i suoi sodali sono personaggi noti della cultura non solo torinese. Lui è uno studente che cerca e si cerca, legge e traduce, fa progetti. Indifferente alla prassi politica di quegli anni, si rintana nello strutturalismo ma subito se lo scrolla di dosso, sentendolo vuoto di mondo. Incontra il femminismo, e lì in quell'ambiente di donne ribelli, capaci di una letteratura che sa mettersi a nudo, qualcosa gli rimbalza dentro, lì misura e verifica la sua diversità. Con Edda, esperta di lettere francesi, fonda la piccola e prestigiosa casa editrice "La Rosa", insieme si fanno "artigiani e operai alla base, assemblatori di singoli elementi", insieme scoprono e importano per il pubblico autori destinati a segnare un tratto di cultura italiana.
Procede, l'autobiografia, su un doppio binario: da una parte la voracità della lettura e la sensibilità estetica, ovvero la nobile norma della critica alta, di livello internazionale; dall'altra parla e grida l'impulso di un corpo in cerca di giovani occhi inermi, di un eros eretico in corsa lungo una corrente buia, pronto a inabissarsi nell'alcol. E in queste pagine si legge la minaccia del declino, della perdita del linguaggio. Come Aschenbach? Tra le poche cose portate all'Aquila, dove è chiamato come professore associato, c'è un manifesto cinematografico della Morte a Venezia con il volto alla marinara, biondo ed esangue di Bjorn Andersen. La "festa confusa" del movimento studentesco che infuria intorno, nel palazzo secentesco dell'ateneo, lascia il docente indifferente. Nello specchio di casa vede un volto gonfio, estraneo e dissennato. Sono pagine in cui Morino si fa cronista della propria emarginazione. L'autobiografia si svincola da ogni cappio di divieto. Un cane randagio in figura di predatore, esperienze sul filo del rasoio: l'attesa notturna nei giardini pubblici tra angeli e coltelli, la ricerca di una gloria dei sensi che si dilata nell'eroina del partner perché solo la droga consente la consegna di sé, l'abbandono totale dell'altro.
Di scrittura incisiva, spoglia di qualsiasi ritegno pedagogico, questo è il versante più significativo di un libro che richiama i primi due romanzi di Morino, In viaggio con Junior (2002) e Rosso taranta (2006). Giustamente Jaime Riera indica in Quando internet non c'era la chiusura di una trilogia ("Il Manifesto", 26 maggio 2009). Ma là, nel viaggio a due, prevaleva la dimensione assolata e dionisiaca, qui c'è invece uno strazio solitario, e chi ha conosciuto Angelo sente come la diversità lui se la sia vissuta addosso, lealmente, fino alla fine. Morendo da solo d'estate a Torino, in quella casa al numero 10 di via Bellezia, impegnato nella sua specola a scrivere, da solo spiando il fantasma del padre e il brusio remoto della vita.
Anna Chiarloni

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